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Creatività e letteratura: l’OuLiPo e la letteratura potenziale

Abbiamo visto che la creatività è qualcosa per cui ci sono persone più dotate e meno dotate, ma che è comunque possibile imparare a usare alcune tecniche che non daranno forse chissà quali eclatanti risultati, ma perlomeno permettono di ottenere qualche successo nei piccoli problemi di ogni giorno. Buttatele via.

Stavolta parlo di come la creatività si può trovare in un campo molto meno scientifico: la letteratura.

Non mi occuperò della Scuola Holden e di tutti gli altri corsi di “scrittura creativa” che in questi anni spopolano, per l’ottima ragione che non ne ho fatto nessuno né mi viene voglia di farlo: la mia sensazione è che la prima cosa da imparare per scrivere creativamente sia sapere scrivere correttamente, e la seconda è avere letto così tanto da conoscere in pratica, anche se magari non con il loro nome, le varie tecniche retoriche e no. Io ho apprezzato il Ricettario di scrittura creativa di Stefano Brugnolo e Giulio Mozzi, che per l’appunto mostra tutte queste tecniche: ma confesso che non ho provato a fare nemmeno uno degli esercizi!

Preferisco invece restare a parlare di teoria della creatività, e spendere due parole sul più grande esperimento del secolo scorso: l’Ouvroir de littérature potentielle, noto più comunemente come OuLiPo (con l’accento sulla o). Tecnicamente l’OuLiPo fu fondato in Francia il 24 novembre 1960, come sottocomitato del Collège de ‘Pataphysique, e prese il nome di Séminaire de littérature expérimentale. La cosa a mio parere più importante nella nascita dell’associazione, e soprattutto quella che gli ha permesso di ottenere gli indubbi risultati pratici, sta nelle attività delle due persone che sono state i promotori: Raymond Queneau era infatti uno scrittore che amava la matematica, mentre François Le Lionnais era un matematico che amava la letteratura. Come capita spesso, in effetti la creatività ha terreno fertile quando si riescono a mischiare soggetti a prima vista diversissimi tra loro: cercare di infilare un tappo quadrato in un buco tondo fa sicuramente imparare molte cose sui tappi e sui buchi…

L’OuLiPo ha tutta una serie di peculiarità, dai nomi delle cariche che i vari membri si danno – lascito dall’origine `Patafisica, immagino – alle regole per l’appartenenza. Su Wikipedia (stavolta in francese, al giorno d’oggi bisogna sapersi districare almeno con le principali lingue europee…) si legge che si diventa membri dell’OuLiPo per cooptazione, con voto unanime dei membri, e solo a condizione di non aver mai chiesto di esserne parte. Se si accetta di esserne membri, l’unico modo per uscirne è «suicidarsi davanti a un ufficiale giudiziario che certifichi il tutto». La semplice morte non è sufficiente, perché si rimane oulipiani: l’assenza alle riunioni viene «giustificata a causa di decesso». Gli oulipiani hanno prodotto opere, ma la produzione in sé non è così importante: non per nulla la letteratura è vista come potenziale, vale a dire ponendo l’accesso sul cosa si può fare e non sul come… tanto che hanno inventato, ben prima di Elio e le Storie Tese, gli “oulipiani per anticipazione”, quando trovano opere del passato che hanno implicitamente usato i vincoli da loro studiati.

Ed è proprio questo che mi interessa rimarcare in questo contesto: per OuLiPo la creatività è il risultato dell’applicazione di un vincolo. La storia della letteratura è piena di opere create con vincoli espliciti, solo che generalmente non li chiamiamo così. Pensate ai salmi biblici alfabetici, dove ogni verso inizia ordinatamente con una lettera dell’alfabeto ebraico; pensate alla metrica latina, oppure alla rima moderna, e alle strutture poetiche più complesse come il sonetto, l’ottava, o anche solo il limerick; pensate alle opere lipogrammatiche, quelle cioè nelle quali viene esplicitamente evitato di usare una certa lettera. Georges Perec scrisse La disparition senza mai usare la lettera “e”, cosa che in francese non è affatto banale; ma già in età latina imperiale Settimio Nestore scrisse un’Iliade lipogrammatica, dove in ciascuno dei libri dell’opera veniva tralasciata la lettera corrispondente dell’alfabeto greco. Cent mille milliards de poémes di Queneau è un libro di quattordici pagine, ciascuna divisa in quattordici strisce orizzontali, ognuna delle quali è il verso di un sonetto: il tutto costruito in modo che scegliendo per ogni riga una qualsiasi delle quattordici pagine si ottenga un sonetto che con tutta probabilità non è mai stato letto da nessun altro. Italo Calvino con Se una notte d’inverno un viaggiatore gioca sulla impossibilità di completare un’opera (altro archetipo oulipiano, come ben sa chi ha letto La vita – istruzioni per l’uso e sulla costruzione a più livelli.

Naturalmente non è il vincolo quello che conta davvero, ma pur sempre l’autore. Gli oulipiani sono «topi che costruiscono da sé il labirinto da cui si propongono di uscire»: il vincolo serve per essere costretti a trovare un modo non standard per arrivare dove si vuole, costringendo a far lavorare le meningi e ottenendo un risultato che si spera essere valido letterariamente. Tornando a Perec (un cruciverbista…) e al suo La vita – istruzioni per l’uso, esiste il suo “quaderno di specifiche” (cahier des charges) dove spiega quali sono tutti i vincoli usati per scrivere i vari capitoli del libro, e il metavincolo, vale a dire la scelta (volontaria!) di non seguire uno e un solo vincolo per ogni capitolo. Semplice a dirsi, un po’ meno a farsi.

Termino ricordando che esiste una versione italiana dell’OuLiPo: Oplepo, l’Opificio di Letteratura Potenziale. In realtà per alcuni anni è anche esistita una cellula scissionista, l’Opificio di Elaborazione Potenziale (Opelpo), che però al momento è in sonno (manco fosse una loggia massonica). Probabilmente avete sentito nominare molti nomi di Oplepo, e forse uno di Opelpo…

di .mau.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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