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Covid-19, quando censura e disinformazione fanno il gioco della pandemia

In un nuovo rapporto pubblicato oggi, dal titolo “Tra bavaglio e disinformazione: libertà d’espressione in pericolo durante la pandemia da Covid-19”, Amnesty International ha denunciato che gli attacchi portati dai governi alla libertà d’espressione e i flussi di disinformazione hanno avuto conseguenze sulla capacità di avere accesso a informazioni accurate e tempestive, fondamentali per arginare la crisi globale di salute pubblica.

Da ben oltre un anno governi e altre autorità fanno affidamento sulla censura e sulle sanzioni per ridurre la qualità delle informazioni a disposizione del pubblico. La pandemia ha dato luogo a una pericolosa situazione in cui nuove legislazioni sono state usate per mettere il bavaglio all’informazione indipendente e per punire chi criticava o cercava d’indagare sulla risposta dei governi alla pandemia da Covid-19.

Il governo cinese controlla da tempo la liberà d’espressione. Sin dal dicembre 2019, operatori e dirigenti sanitari e cittadini-giornalisti hanno cercato di dare l’allarme ma sono stati presi di mira per aver riferito sulla diffusione di quella che all’epoca era una malattia sconosciuta. Alla fine di febbraio del 2020 erano state aperte 5511 indagini per “produzione e diffusione intenzionale di informazioni false e dannose”.

Un caso terribile è quello della cittadina-giornalista Zhang Zhan, recatasi nella città di Wuhan nel febbraio 2020 per indagare sullo scoppio della pandemia. È stata arrestata dalla polizia, accusata di “seminare discordia e provocare problemi” e condannata a quattro anni di carcere.

Numerosi stati – tra i quali Nicaragua, Russia e Tanzania – hanno introdotto nuove leggi repressive che hanno limitato il diritto alla libertà d’espressione e ridotto al silenzio coloro che avevano criticato la risposta delle autorità alla pandemia.

Il governo dell’ex presidente tanzaniano ha adottato una posizione negazionista e ha utilizzato leggi sulle “fake news” per limitare la copertura mediatica della gestione della pandemia.

Le autorità del Nicaragua hanno inizialmente minimizzato l’impatto della pandemia e minacciato chi sollevava problemi, poi nell’ottobre 2020 hanno introdotto la Legge speciale sui reati informatici che punisce coloro che criticano le politiche governative e conferisce ampia discrezionalità per reprimere la libertà d’espressione.

Nell’aprile 2020 il governo russo ha ampliato la legislazione sulle “fake news” inserendovi il reato di “diffusione di informazioni consapevolmente false” nel contesto dell’emergenza sanitaria.

Molte di queste misure, ufficialmente adottate come risposta alla pandemia, rimarranno in vigore anche al suo termine. Fanno parte di un assalto ai diritti umani iniziato negli anni scorsi e che si è intensificato nel momento in cui i governi hanno trovato una nuova scusa per farlo.

Il rapporto di Amnesty International mette in luce anche il ruolo giocato dai proprietari delle piattaforme social nella rapida diffusione della disinformazione sul Covid-19. Queste piattaforme hanno l’obiettivo di amplificare l’eco di contenuti che provochino attenzione per attirare utenti e non hanno applicato una sufficiente diligenza dovuta nel prevenire la diffusione di informazioni false e fuorvianti.

Amnesty International sollecita gli stati a cessare di usare la pandemia come pretesto per ridurre al silenzio l’informazione indipendente, ad abolire tutte le limitazioni indebite al diritto alla libertà d’espressione e a diffondere informazioni credibili, attendibili e accessibili in modo tale che il pubblico sia pienamente informato sulla pandemia.

Per contrastare la disinformazione non serve la censura, ma occorrono una stampa libera e indipendente e una forte società civile.

 

 

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