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Correnti PD: il parlamentino degli eletti democratici

Un’agenzia ANSA di qualche giorno fa, che annunciava la nomina dei vicepresidenti del gruppo del Partito Democratico alla Camera, descriveva in maniera plastica la suddivisione per correnti nel partito guidato da Bersani: "Sono Paola De Micheli vicario (area Letta), Silvia Velo (giovani turchi), Andrea Martella (area Veltroni), Antonello Giacomelli (area Franceschini) e Gero Grassi (area Fioroni)". Tutti questi guidati dal bersaniano Roberto Speranza, segretario regionale del PD in Basilicata e coordinatore della campagna elettorale di Bersani. E per i renziani, proprio niente? Per loro c’è Roberto Giachetti, vicepresidente della Camera.

Si narra, addirittura, che nell’aula di via degli Uffici del Vicario riservata ai gruppi parlamentari, quando si riunisce l’assemblea dei deputati democratici si sia consolidata una certa prassi: "I renziani in alto a sinistra, i lettiani poco più in basso, Rosy Bindi e i suoi in alto a destra, con Franceschini, mentre il corpaccione dei bersaniani e i Giovani turchi restano sparsi al centro dell’emiciclo".

Se questa può essere una ricostruzione che estremizza il dibattito interno al Partito Democratico, d’altra parte non si può negare la suddivisione per correnti, che nel tempo si è consolidata ma che le recenti elezioni hanno riorganizzato, a causa dell’intervento fondamentale di due fattori: i numerosi nuovi parlamentari, eletti attraverso le primarie di fine dicembre, che hanno ridotto all’osso alcune componenti già in difficoltà (pensiamo ai Teodem, ad esempio) e l’ingresso ufficiale in Parlamento di nuove aree, dai seguaci del sindaco di Firenze, ai Giovani Turchi, passando per i Civatiani.

Il gruppo più numeroso, sia alla Camera che al Senato, è quello dei Bersaniani. Di stretta osservanza, alla Camera, ne contiamo tra i 70 e i 75, affiancati da un gruppo più “liquido” di circa 35 deputati, per una quota pari al 38% dei democratici alla Camera. Segue Areadem, la componente di cui fanno parte Franceschini, Fioroni e Fassino che, insieme ai nostalgici di Veltroni, si spartiscono pressocché equamente i seguaci. Alla Camera contiamo tra i 60 e i 65 appartenenti ad Areadem, pari a circa il 21%, ben distanti, perciò, dai Bersaniani. Al Senato, invece, la distanza tra i due gruppi si riduce di molto, ed e quantificabile sulle dita di una mano.

Arriviamo a una nuova componente, i cosiddetti Renziani. Ne troviamo una quarantina alla Camera (14%) e una dozzina al Senato (11%). Seguono i Lettiani: circa venticinque rappresentanti tra Camera e Senato, per la precisione una ventina alla Camera (6%) e il resto al Senato (5,5%).

Appaiate, una componente storica della sinistra italiana e una nuova componente, che nel recente passato hanno vissuto una storia comune, finché gli onorevoli Fassina, Orfini e Orlando non hanno deciso di recidere il legame con Massimo D’Alema. Parliamo quindi di Giovani Turchi e D’Alemiani che, sia alla Camera che al Senato “controllano” tra il 4% e il 5% dei gruppi del Partito Democratico. Seguono le due aree guidate da Rosy Bindi e da Giuseppe Civati.

Per concludere troviamo una piccola schiera di parlamentari vicini a Laura Puppato, gli eletti appartenenti al PSI, i Teodem (qualcuno c’è ancora) e una quota di parlamentari eletti al di fuori dagli schemi di corrente, che ammonta a circa il 7,5% del totale.

Volendo fare dei calcoli sul totale degli eletti del Partito Democratico potremmo perciò suddividerli in Bersaniani (35%), appartenenti ad Areadem (23%), Renziani (13%), Lettiani (6%), D’Alemiani (4,5%) e Giovani Turchi (4,5%), Bindiani (2%), Civatiani (1,5%), un gruppo di indipendenti (7,5%) e i rimanenti delle componenti minori, incluso il PSI (3%). Nel contesto attuale, estremamente caotico, se il Partito Democratico optasse per un Congresso “serrato”, giocato tra militanti e tesserati, queste cifre peseranno, eccome. Il tutto con una nuova incognita: quella di Fabrizio Barca.

Il Parlamentino del Partito Democratico | Create infographics

Di Stefano Catone

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.81) 15 aprile 2013 19:41

    Renzicismi >

    I media stanno facendo a gara per cogliere le diatribe interne al PD e le “vicissitudini” di Renzi. Ecco un’altra chiave di lettura.

    Tre sono i possibili modi per cessare di far parte di una associazione: partito compreso. Uscire, farsi cacciare o auto-escludersi.
    Per “uscire” basta esplicitare la volontà di dimettersi.
    Per “farsi cacciare” è necessario e sufficiente derogare alle regole comuni.

    Per potersi “auto-escudere” bisogna ricorrere a tecniche e modalità più sofisticate.
    Prima serve cercare i giusti presupposti. Poi occorre trovare le occasioni o “creare” le condizioni per apparire e potersi dichiarare “vittima” di incomprensioni e soprusi.
    Alla fine il rapporto dovrà risultare talmente compromesso da far dire “ognuno per la sua strada”.

    A che pro?
    Una auto-esclusione non incrina i legami “consolidati” e non incide (di per sé) sull’immagine pubblica.
    Salvo quelli che non perdono il senso ed il valore di Parola e Merito

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