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Corea del Nord: l’utopia dell’accesso a internet

Kwangmyong. No non significa condoglianze. Kwangmyong è la intranet nazionale della Corea del Nord, la quale rispecchia nella realtà digitale l’isolamento che ha vissuto sotto tutti i punti di vista il paese asiatico in questi decenni di dittatura, e che purtroppo sembra destinato a vivere ancora.

La morte del despota Kim Jong-il è l’occasione per guardare da vicino uno dei più asfissianti contesti mai concepiti dal censore di Internet. Il regime socialista di Pyongyang infatti non si limita a filtrare il web, ma agisce alla radice, permettendo la connessione esclusivamente alla sopra citata intranet, nella quale sono comprese solo poche decine di siti approvati dal governo e alla quale può accedere solo una minoranza privilegiata. I siti accessibili nella Kwangmyong sono per lo più siti di propaganda del regime, i siti delle agenzie governative, siti di apologia di Kim Jong Il e di suo padre Kim Il Sung, e siti che inneggiano alla riunificazione su base socialista delle due Coree; la Corea del Sud, in risposta a questo atteggiamento, provvede a censurare sistematicamente i flussi di messaggi online provenienti dal Nord, in particolare quelli di Twitter. Senza contare le “schermaglie digitali” sul 38esimo parallelo (ad inizio luglio 2011 un rapporto della McAfee attribuiva gli attacchi subiti nelle settimane precedenti dai siti sudcoreani al governo di Pyongyang, che starebbe così facendo le prove generali di una cyberguerra. Nel frattempo, sempre dalla Nord Corea arrivavano infiltrazioni di hacker nei circuiti di giochi online dei vicini del Sud per racimolare fondi in maniera illecita).

Tornando tutta a Nord, ad un’ancor più ristretta cerchia di persone e agli stranieri è invece concessa la connessione al World Wide Web, anche per una questione di accessibilità economica (le tariffe degli Internet point non sono compatibili con gli stipendi medi dei cittadini).

Non esistono in generale media indipendenti in Corea del Nord, tutta l’informazione è controllata dalla giunta militare al potere, ma Internet ha una particolarità: avendo attivato un dominio di primo livello “.kp” solo nell’ottobre 2010, i server sui quali si basa la Nord Corea sono per lo più in Cina, Giappone, Germania e perfino Texas, comprese le pagine www.korea- dpr.com (pagina Web della Corea del Nord) e www.kcna.co.jp (la home page della Korean Central News Agency).

Molti cittadini stanno guadagnando un libero accesso a Internet tramite le reti mobili che si appoggiano a server cinesi (quindi in realtà Internet libero fino ad un certo punto, diciamo che si va dalla brace alla padella) e che vengono attivate su dispositivi comprati al mercato nero. Dal maggio 2004 è infatti vigente nel paese il divieto della telefonia mobile. Alla fine di maggio 2011 partiva a Pyongyang la messa a punto di tre diversi modelli di computer e device mobili interamente costruiti nel paese (o almeno passati al vaglio del regime prima della messa in commercio); un altro tassello nell’autarchia digitale perseguita dal defunto “Caro Leader”.

Come dicevo, c’è anche un fattore economico dietro la quasi nulla diffusione di Internet nella parte nord della penisola coreana: pc, corsi di alfabetizzazione digitale e connessioni sono incredibilmente costose per i sudditi del regime, e c’è da credere che sia esso stesso a far sì che le tariffe restino così alte. Pertanto, sebbene l’articolo 67 della Costituzione socialista garantisce la libertà di parola e di stampa, non vi è alcuna possibilità di scardinare il dominio dello Stato sull’accesso ad Internet come su qualunque manifestazione del diritto di espressione. Un piccolo spiraglio si aprì nell’estate 2010, quando il governo decise di aprire un proprio account su Twitter e Youtube; i contenuti finora caricati sono ovviamente soltanto propaganda di regime e accuse agli oppositori (repubblica del Sud inclusa), ma insieme all’imminente passaggio di consegne al vertice dello stato questo dato potrebbe innescare un certo rinnovamento.

O almeno speriamo, perché le lacrime viste in tv questi giorni dipingono scenari di propaganda che l’umanità ha bisogno di lasciarsi alle spalle.

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