• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Tempo Libero > Recensioni > Come nel mondo reale. “Parlare” Facebook a scuola

Come nel mondo reale. “Parlare” Facebook a scuola

Continuiamo, noi adulti, a diffidare del digitale. E quindi, della comunicazione in ambiente digitale. Questa è la premessa da cui parte implicitamente, ma non poi tanto, Anna Fogarolo nel suo Do you speak Facebook? (Erickson 2013).

Figuriamoci se poi il Web viene associato ai minori, ai “giovani”, alla scuola – e ai social network di successo. Come il sito che negli ultimi anni ha contribuito a cambiare radicalmente le modalità della comunicazione nella vita quotidiana e nelle relazioni sociali: Facebook.

E così l’autrice del volume si impegna nell’operazione difficile, necessaria, che però le riesce benissimo, di costruire un vero e proprio manuale su come abitare e usare il social network più frequentato e diffuso nel mondo, elemento stabile, ormai, del nostro ambiente privato e sociale, mettendo in campo un ottimismo e una fiducia ammirevoli e invidiabili. O che almeno molti di noi educatori a vario titolo le invidiamo, frustrati dai tentativi di penetrare – o perlomeno incrinare – il monolitico rifiuto di qualcuno degli adulti che frequentiamo, genitori o colleghi che siano. Ma si sa, “non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire” (il che non ci impedirà di usare questo libro ed imparare dall’autrice…)

Ne esce, in ogni caso, un lavoro a cavallo fra il manuale d’uso, la grammatica e la carta topografica, utile per coloro che decidono di “sbarcare” su questo pianeta dell’universo digitale e cominciare ad esplorarlo e ad abitarvi, e magari a lavorarci), approfondendo in modo più specifico un discorso già avviato in un altro volume della stessa collana (cfr. Facci, Valorzi, Berti, 2013; Fattori, 2013).

In effetti il libro della Fogarolo si rivolge prima di tutto a noi insegnanti, per descriverci le potenzialità che il sito ha per arricchire e potenziare la didattica “normale”, quella che si svolge in classe. Partendo in ogni caso da una constatazione: che – e non c’è niente da fare – i nostri ragazzini e adolescenti sul Web, e su Facebook, ci sono già, e non ci sarà modo di sradicarli di lì. Perché è comodo, è piacevole, è bello starci.

E poi fa parte del loro mondo – e ormai anche di quello in cui viviamo noi, volenti o meno – come del nostro hanno fatto parte fumetti e Tv (e le rimostranze e le paure degli adulti di allora), per questi ultimi il cinema (stesso discorso), per le generazioni precedenti il teatro e la letteratura romantica e gotica (e vale ancora lo stesso ragionamento). La storia – una certa storia – si ripete sempre: quella delle critiche e degli strali fobici dei moralisti, dei conservatori, dei pigri e – sì – dei cretini, e continua ad attualizzare la battuta di Karl Marx su sul verificarsi degli eventi storici prima come tragedia e poi come farsa.

A dire la verità, la situazione è ancora più articolata. E Facebook diventa, quasi “idealtipicamente” (forse perché lì le cose succedono “esattamente come nella realtà”, come scrive Anna Fogarolo, p. 17) in tutto e per tutto come il mondo reale, ne è una mimesi, uno dei luoghi dove si concentrano tutti gli atteggiamenti che noi abbiamo nei confronti in generale del Web, dall’entusiasmo sfegatato, al rifiuto preventivo, alla circospezione, alla paura di non essere capaci di usarlo, alla pigrizia nei confronti delle novità – e anche alla curiosità e all’interesse nei confronti delle potenzialità che offre, riflettendo anche sulla piacevolezza che sostituisce nei ragazzini trovare i propri insegnanti sul sito, scoprire che lo frequentano, che lo sanno usare…

Per controbattere alle possibili obiezioni l’autrice agisce su due piani: da una parte illustra con ampiezza il funzionamento del sito, e in particolare le possibilità che offre agli insegnanti di usarlo per integrare e arricchire il lavoro in aula, dall’altro approfitta degli esempi che propone per spiegarne le procedure di uso e le possibilità di comunicare che offre. E affronta due questioni cruciali, su cui si concentrano in genere le obiezioni degli adulti quando indossano le vesti dei custodi della cultura e delle buone maniere.

La prima riguarda la lingua, l’italiano (pp. 69 e segg.) che si “parla” sul Web – e quindi anche su Facebook: “Si sta corrompendo”, “i giovani non sanno più scrivere a causa della frequentazione di Internet”. Che detto di un paese in cui l’analfabetismo di ritorno fra gli adulti galoppa, in cui non si leggono libri e quotidiani è davvero un po’ forte…

Vale qui quello che sosteneva Umberto Eco qualche decennio fa rispondendo ai moralisti che se la prendevano con la lettura di romanzi gialli e fumetti. “Almeno leggono!”. Anna Fogarolo è decisamente più garbata di Eco (e di chi scrive), ricordando come la lingua comunque si trasforma sempre, non rimane mai ferma. Con buona pace dei cultori di uno stile “classico” solo presunto. E, aggiungo, nella mia esperienza recente ho trovato meno strafalcioni nei testi dei miei alunni e studenti – sì, anche quelli che scrivono al computer e mi spediscono per e-mail o sui “gruppi” che ho su Facebook – che in certi testi del ministero della P. I., sia a livello centrale che periferico…

L’altra questione riguarda la privacy (pp. 25 e segg.), nota dolente principe in queste discussioni: “Ah, no, io… no, è per difendere la loro privacy…”

Anche qui la Fogarolo risponde con leggerezza e precisione, mettendo in evidenza come lo stesso Facebook metta a disposizione una configurazione di strumenti che permettono di tenere separate sul Web vita “pubblica” e lavorativa e vita “privata”.

Anche qui, direi, c’è da aggiungere qualche altra considerazione, di diversa ampiezza – “di contesto”, diciamo. Facebook è un posto “pop”, nel senso che è informale ma può essere formale, permette di esprimersi nelle cose serie e in quelle leggere, di esserci e di assentarsi, con i tempi della vita attuale, come in una piazza – o in un supermercato, in un bar, in un cinema – di una qualsiasi città in cui quando ci passi puoi incontrare chi ti chiede l’elemosina, un amico, e, guarda un po’, anche un alunno, mentre magari stai parlando di calcio o del vicino che tiene troppo alto il volume della Tv…

E certo nessuno di noi si spaventa a quest’idea e non esce più di casa (o no?). Bisogna accettarne l’etica e il galateo, certo, ma sono un’etica e un galateo condivisibili e leggeri anch’essi. Tranne su alcuni aspetti: la volgarità, l’insulto, il razzismo, il bullismo. E va benissimo così. Anzi – per rispondere ad un’altra classica obiezione dei critici del Web e di “Fb” – ci sono due considerazioni da fare: il sito fornisce strumenti di controllo che la vita “reale” spesso non prevede; e poi, certo non è la nostra presenza sul sito e gli eventuali rapporti con i nostri alunni a scatenare i cattivi comportamenti. Ci mancherebbe altro!

E poi, in ogni caso, una volta che si è sul Web si è sempre rintracciabili: i nostri alunni e studenti ci cercano, sono curiosi di sapere come siamo “fatti”, qual è l’identità che manifestiamo. E ci trovano, come sanno tutti quelli di noi che hanno un qualche “profilo”, non solo su Facebook.

A questo punto, cos’è meglio, nascondere – “virtualmente” – la testa nella sabbia, o affrontare anche questa sfida? Credo che la trasparenza e la coerenza facciano parte del nostro lavoro, per cui, ne sono sicuro, possiamo affrontarla. 

 

Adolfo Fattori

 

Letture

Facci M., Valorzi S., Berti M., Generazione Cloud, Erickson, Trento, 2013.

Fattori A. Alice nella nuvola delle meraviglie, http://www.agoravox.it/Alice-nella-...

 

 

 

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares