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Come la Jihad favorisce le strategie occidentali

Forse una delle caratteristiche più sorprendenti dell’attacco a Nizza non è quello che si è verificato in Francia, ma la reazione che esponiamo a seconda di dove si verifica il terrorismo.

Il pubblico, i politici e i media sono tutti giustamente colmi d’indignazione per la serie di attacchi che affliggono la Francia in questi ultimi diciotto mesi, così come la recente sparatoria di Orlando negli Stati Uniti, ma il livello di oltraggio vissuto da parte dei media non raggiunge mai lo stesso livello quando il terrorismo colpisce altre parti del mondo, in particolare il Medio Oriente.

In Occidente questo particolare aspetto genera a sua volta una percezione distorta della realtà quando si dichiara che quella che si sta combattendo è una ‘battaglia di civiltà’. Si pecca di omissione quando non si valuta che la maggior parte del terrorismo, commesso da gruppi come al-Qaeda e ISIS, si perpetua invero contro altri arabi nei paesi a maggioranza musulmana. Questa percezione errata porta poi a assimilare tutti i musulmani ai terroristi, alimentando il razzismo ignorante e incentivando la loro discriminazione, trascurando completamente il fatto che i musulmani e gli arabi sono principalmente in prima linea in questa battaglia e che sacrificano le loro vite per liberare il mondo dai jihadisti in terra mediorientale, laddove tutto ha inizio.

Per esempio, sono pochi coloro che parlano dell’attentato di Baghdad della settimana scorsa, dove oltre 300 persone sono rimaste uccise a seguito dell’esplosione di un camion bomba. Attacco di cui l’ISIS ha rivendicato la responsabilità. È stato l’attacco più sanguinoso nella capitale irachena degli ultimi anni, ma nessuno ne ha parlato, nessuno ha espresso solidarietà. A dire il vero, pochi hanno parlato in merito alla strage di Dacca, in Bangladesh, dove nove italiani hanno perso la vita, anche in quell’occasione l’ISIS ha rivendicato la paternità dell’attacco.

Non c’entra la religione 

Nelle menti occidentali si dipinge un quadro errato, del tutto distante dalla realtà quando si pensa che la causa di tutto questo sia un’ideologia religiosa eterea, o che questi attacchi sono alla base di un problema inerente al mondo arabo e musulmano oppure che l’estremismo è nel loro DNA. In realtà l’estremismo è principalmente una conseguenza dell’imperialismo occidentale che sta armando, formando e finanziando i vari gruppi terroristici per scopi di espansione geopolitica, il principale dei quali sono gli Stati Uniti. Quindi, il terrorismo islamico è un’invenzione principalmente ideata dagli USA

Quando l’ISIS ha dichiarato la sua esistenza in Siria e in Iraq nel 2014, era noto da tempo che si sarebbe costituito un grande gruppo terroristico nelle città di Mosul e Ramadi. Nel 2012, una relazione della DIA americana ha rilasciato un’informativa all’amministrazione del presidente Barack Obama. Tale nota, ora desegretata, è stata redatta il 12 agosto 2012 a cura dalla Defense Intelligence Agency (l’Agenzia dei Servizi Segreti americani a cui fa riferimento anche la CIA, l’FBI e la NSA, ndr), e manifesta chiaramente l’augurio della formazione di uno ‘Stato Islamico’ nell’est della Siria. La nota della DIA (qui il documento originale in inglese) illustra che già dal 2012 i Servizi Segreti americani avevano previsto l’ascesa dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, e pensavano proprio a Mosul e a Ramadi come le città da cui l’organizzazione sarebbe partita. Quindi, invece di indentificare questo gruppo come un nemico, il rapporto della DIA descrive questa speciale organizzazione terrorista come una risorsa strategica per gli Stati Uniti. Infatti, il continuo rafforzamento di queste forze islamiche estreme, in tale area del Medio Oriente, ha di fatto causato un deterioramento della situazione con conseguenze disastrose sulla situazione dell’intera regione, creando in tal modo un’unificazione delle forze jihadiste tra i sunniti in Iraq e in Siria.

Sulla base di queste informazioni, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno aumentato il loro sostegno a favore dell’opposizione siriana nel corso degli ultimi due anni. Questo particolare ‘Stato islamico’, prosegue la nota della DIA, avrebbe fatto in modo che l’Occidente, assieme ai paesi ‘amici’ del Golfo (Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman, Qatar, ndr), Israele e Turchia, potessero raggiungere i loro scopi in quell’area contro il legittimo governo siriano. Durante questo periodo gli Stati Uniti e i sauditi hanno fornito armi e denaro a favore dei ribelli in Siria. L’intento, secondo la relazione DIA del 2012, era la possibilità di stabilire in Siria orientale una sorta di “Stato Islamico o Califfato” salafita, legittimo o meno, al fine di isolare il regime siriano, considerato da sempre il profondo ispiratore della strategia espansionista sciita condivisa dall’Iran e in Iraq.

Tutto questa strategia ha tralasciato il controllo su un altro territorio, ritenuto ormai già ampiamente sfruttato e per questo non più vitale per gli interessi espansionistici occidentali: l’Iraq. Fatto sta che questa ‘svista’ ha determinato una maggiore agibilità di movimento dell’ISIS che ha ottenuto una facile avanzata verso l’Iraq. Una ‘svista’, però, che era ben conosciuta dall’amministrazione di Barack Obama. Prima ancora dell’avvento di ISIS, in un’audizione al Senato americano del 2014, il direttore della DIA Michael T. Flynn aveva avvertito che: “Si figura all’orizzonte la nascita di uno Stato Islamico, che probabilmente tenterà di prendere il controllo di buona parte dei territori dell’Iraq e della Siria ed esporrà la sua forza a partire dalla metà del 2014”. Non a caso l’ISIS si è ufficialmente presentata a giugno 2014 e, in quell’occasione, gli Stati Uniti non hanno fatto nulla. Per volontà o per inerzia?

Lotta all’ISIS o strategia calcolata?

Il dissesto nella lotta all’ISIS non è un buco d’informazione delle agenzie d’intelligence, bensì va considerato un fallimento dei responsabili politici che non hanno voluto agire su eventi che stavano diventando sempre più evidenti. Anche i deboli e disorganizzati servizi segreti iracheni stavano chiedendo aiuto agli americani, avvisandoli dell’imminente pericolo molti mesi prima della caduta di Mosul, ma Barack Obama si è rifiutato di fornire loro l’assistenza richiesta. Anzi, la strategia di Obama era quella di utilizzare un eventuale attacco ISIS come un mezzo per fare pressione sull’allora primo ministro iracheno Jawad al-Maliki, nel tentativo di arrivare a una sua veloce estromissione. Infatti, i raid aerei americani sono iniziati in tutto l’Iraq non proprio nel momento in cui l’ISIL stava avanzando velocemente, conquistando territori su territori, bensì molto tempo dopo, quando al-Maliki si dimise e Ḥaydar al-Abadi prese il suo posto. Cioè quando ormai era troppo tardi!

Le gravi responsabilità della Francia

Le continue attività terroristiche in terra francese vanno necessariamente collegate con il coinvolgimento della Francia nella crisi in Siria. È dal 2012 che la Francia viene considerata il sostenitore più importante dell’opposizione armata in Siria, impegnandosi anche finanziariamente a favore dei gruppi ribelli come parte di una strategia per rovesciare il regime di Bashar Hafiz al-Assad. Questo avveniva dopo pochi mesi dall’informazione della DIA americana che avvertiva: “I salafiti, i Fratelli Musulmani, e AQI (Al-Qaeda in Iraq, ndr)” sono le principali forze che guideranno la rivolta siriana”. Queste organizzazioni sono sempre state considerate dei ‘ribelli moderati’, per cui da sostenere. Purtroppo per tutti noi, tali ‘ribelli moderati’ si sono poi sottomessi all’ISIS, aumentando così le lunghe file dell’esercito che combatte per far diventare ancor più grande lo Stato Islamico. E mentre la Francia ha giustificato il suo coinvolgimento attraverso quella che considera una ‘opposizione moderata’, nel tentativo di spodestare Assad, indirettamente ha portato alla nascita di forze jihadiste estreme all’interno della Siria e dell’Iraq.

Come se non bastasse l’intervento in Siria, dall’agosto 2014 (cioè anche prima dell’assalto alla redazione di Charlie Hebdo) la Francia è impegnata con oltre tremila militari in una campagna globale contro quello che viene definito il ‘terrorismo di matrice islamica’ in Africa con l’operazione chiamata ‘Burkhane’. L’intervento si è sviluppato nel tempo in una vasta area compresa tra il Ciad orientale, il Niger, il Mali, il Burkina Faso e la Mauritania. A febbraio 2015, nel corso di un’offensiva nel nord del Mali, le forze terrestri francesi hanno ucciso una dozzina di ‘miliziani islamici’ tra Boureissa e Abeissa, a circa 120 km dalla città di Kidal, roccaforte dei ribelli separatisti Tuareg. A metà maggio 2015, sempre nel nord del Mali, le forze speciali del Reggimento paracadutisti della fanteria di marina francese hanno ucciso quattro presunti dirigenti di al-Qaeda, sospettati di essere coinvolti nella morte di alcuni cittadini francesi, tra cui i giornalisti di Radio France International, Claude Verlon e Ghislaine Dupont, uccisi nel 2013.

Queste sono solo alcune delle azioni di ‘polizia internazionale’ perpetrate dai francesi, tra l’altro all’interno di paesi che pochi sanno cosa sta effettivamente succedendo e perché. Certo è che le conseguenti reazioni si sono poi viste in patria.

Il fenomeno jihadista in Europa

L’ex ufficiale Alastair Crooke dell’MI6, il servizio segreto britannico, descrive la situazione in Iraq e Siria con queste parole: “La jihadificazione del conflitto siriano è stata una decisione di politica intenzionale, voluta fortemente dalle amministrazioni occidentali. Sia al-Qaeda che l’ISIS erano gli unici movimenti capaci di stabilire una sorta di Stato Islamico o di un Califfato in tutta la Siria e l’Iraq. Tale scelta, caldeggiata principalmente dall’amministrazione degli Stati Uniti, è stata tacitamente accettata da tutti gli altri governi occidentali e del Golfo alleati, nell’interesse di indebolire e rovesciare lo stato siriano di Assad”.

Da allora sono aumentate le operazioni clandestine al fine di sostenere l’opposizione siriana, e fra queste molte sono forze jihadiste. Ma non solo, le autorità francesi hanno tacitamente permesso, o addirittura favorito, il flusso di cittadini francesi in Siria. Nel 2013 Foreign Policy, autorevole rivista statunitense dedicata alle relazioni Internazionali, ha pubblicato un articolo dove parla di oltre mille cittadini europei in viaggio verso la Siria. Il titolo era: “A centinaia si stanno unendo alla lotta contro Assad”. Il medesimo giornale contestualmente si chiedeva: “Costoro saranno in grado di tornare in patria come terroristi?

Il ministro degli interni francese ha ammesso che quasi 1.200 francesi sono andati in Siria e che il loro rientro potrebbe essere “Una bomba a orologeria”. Era il 2013, un anno prima della costituzione dello Stato Islamico, e nessuna preoccupazione reale o allarme è stato considerato. Il ministro allora aveva giustificato la mancanza di azione affermando che: “I combattenti in Siria non stanno combattendo in Francia o in Europa, bensì contro il regime di Assad. Non è contro la legge francese combattere in quella che non è una vera guerra, bensì un’operazione di polizia internazionale”.

Se ripetesse adesso questa frase, forse non sarebbe più ministro, come minimo.

Paesi come il Regno Unito e la Francia hanno fatto poco per arginare il flusso dei loro cittadini verso una Siria già destabilizzata e la stessa cosa è accaduta in Libia, forse credendo che questi jihadisti sarebbero serviti ad agevolare una politica estera occidentale atta a destituire i leader di quei paesi, quindi Gheddafi e Assad. Solo dopo, quando i servizi di intelligence nazionali hanno cominciato a mettere in guardia dei pericoli di un possibile contraccolpo da parte di questi pericolosi soggetti, hanno iniziato a rendersi conto delle loro assurdità. Se da un lato è dura ammetterlo, dall’altro lato è ormai impossibile cambiare strategia. I recenti attentati in suolo francese non hanno arrestato il coinvolgimento occidentale nella guerra siriana, che ha creato la minaccia del terrorismo, anzi, si sono allargate le alleanze finendo per coinvolgere la Turchia, l’Arabia Saudita e il Qatar, oggi i principali cobelligeranti a fianco dei paesi occidentali e, inoltre, grandi sostenitori dei movimenti terroristici.

Il motore di tutte queste guerre, come del resto è sempre stato, sono le risorse presenti in quei paesi, ovvero i combustibili fossili. Il Medio Oriente rappresenta il luogo da cui oggi proviene la maggior parte del petrolio del pianeta e per questo è da sempre un territorio conteso sia da potenze esterne, come gli Stati Uniti e i suoi alleati, sia da potenze regionali interne che cercano di conquistarsi l’egemonia sulla zona, come l’Arabia Saudita e l’Iran. Non c’è alcun dubbio che la presenza di così tanti fronti di guerra sia, oltre che un disastro per le popolazioni che ci vivono, un problema a livello globale che crea un aumento del pericolo del terrorismo e una degenerazione delle relazioni tra l’Occidente e il mondo musulmano.

Il prevedibile risultato di tutto ciò è più terrore, più guerre, più oppressione… e più morte.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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