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Come Comunione e Liberazione ha "colonizzato" la Lombardia

Altre rivelazioni sullo scandalo del sistema sanitario lombardo targato Cl, che coinvolge nomi come il manager Pierangelo Daccò, l’ex assessore Antonio Simone e sfiora il governatore Roberto Formigoni. Secondo i pm, si tratta di un “flusso di denaro abbastanza clamoroso” e di una rete di conoscenze e favori, all’insegna di una sussidiarietà ‘malata’ a spese dei cittadini.

 

Dopo quello di Daccò, stavolta vengono diffusi stralci dell’interrogatorio a Simone, già esponente del Movimento Popolare, il partito di Comunione e Liberazione. Simone dice che lui e Daccò sono “complementari”. Nel senso che il primo metteva le “idee sanitarie” e il secondo “i clienti”. E i clienti erano soprattutto “frati e ordini religiosi”. Daccò si presenta per la prima volta a Simone, quando questi era assessore negli anni Novanta, “col priore del Fatebenefratelli, come rappresentante presso le istituzioni per l’ordine religioso”. E da lì si amplia la rete di conoscenze con altri ciellini impegnati nel settore sanitario e con agganci nel pubblico.

Simone dice c’era “bisogno di rivalorizzare il patrimonio di ordini religiosi che non sanno cosa fare”. Daccò e Simone tentano il business coi frati, specie nel settore della riabilitazione e dell’assistenza agli anziani. Ma si creano dissapori, quindi si passa al San Raffaele di don Luigi Verzè e Mario Cal.

Secondo i giudici, Daccò e Simone avrebbero creato conti ad hoc dove veicolare fondi di provenienza sospetta. Ma Simone respinge gli addebiti. Sta di fatto che nemmeno lui e Daccò non sanno bene nemmeno quanti soldi siano in ballo, visto che si tratta di finanziamenti gestiti in maniera poco trasparente. Di sicuro, alcune decine di milioni. L’interrogato parla anche di uno “scontro” con lo stesso Formigoni e coi direttori generali, che avevano delle resistenze a favorire in maniera così smaccata il duo Daccò-Simone.

Ma ora i sospetti si vanno addensando proprio su Comunione e Liberazione, una strutturata lobby religiosa e politica che ha ‘colonizzato’ di fatto la Regione Lombardia. E persino don Juliàn Carròn, presidente della Fraternità di Cl ed erede di don Giussani, con una lettera a Repubblica ammette che “qualche pretesto dobbiamo averlo dato” se il movimento è “continuamente identificato con l’attrattiva del potere, dei soldi, di stili di vita che nulla hanno a che fare con quello che abbiamo incontrato”.

Tanto che tra gli stessi ciellini si diffonde l’imbarazzo e l’idea che certi comportamenti spregiudicati e affaristici siano molto dannosi per l’immagine del movimento. Ma c’è anche chi senza vergogna, come Renato Farina sulla rivista ciellina Tempi, contrattacca parlando di “crociata mediatica antiformigoniana” con “uno slippino da spiaggia è diventato il legno su cui inchiodare le coscienze dei loschi ciellini”.

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