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Cinema italiano: sulle ragioni di una crisi

Spesso si discute di come il cinema dei giorni nostri sia diventato un tipo di spettacolo cui assistere solo dal soggiorno di casa comodamente distesi sul sofà. La settima arte, infatti, sembra oggi essere gradita principalmente a un pubblico che ama le “fiction” televisive e conosce poco le suggestioni della sala.

E’ un dato di fatto: il tipo di espressione artistica di cui parliamo appare gravemente dominato dal cinema d’evasione, un archetipo di cinematografia che rifugge l’impegno e i grandi temi adottando modalità espressive e sceneggiature forse ineccepibili tecnicamente ma anonime e non di rado stereotipate e/o poco originali.

Eppure, ad un esame attento della realtà in cui viviamo, la “materia prima” che potrebbe fornire a produttori e registi spunti narrativi interessanti e meritevoli di riduzione cinematografica abbonda.

Il cinema del nostro paese, poi, soprattutto in questi ultimi anni, appare privo di mordente e, quanto a livelli qualitativi, lontanissimo dalla tradizione del grande cinema italiano d’autore che a partire dal secondo dopoguerra si affermò in tutto il mondo influenzando e ispirando le opere dei maggiori cineasti.

La cinematografia italiana nel suo complesso meriterebbe di essere riportata agli antichi fasti: ciò consentirebbe di ristabilire i giusti legami con l’enorme patrimonio visivo che la tradizione del cinema del nostro paese ha saputo esprimere fino, grossomodo, alla fine degli anni Settanta del secolo scorso.

Il nostro cinema più recente, per altri versi, soprattutto quello espresso da nomi e titoli di tutto rispetto, continua, economicamente parlando, a rimanere al palo. A poco sembra valere l’intervento finanziario dello Stato a copertura dei costi sostenuti per la realizzazione di quei film che vengono giudicati di rilevante interesse culturale: su questo tema le uniche certezze che si hanno riguardano il fatto che le sale di proiezione rimangono sempre e inesorabilmente poco frequentate. Il controsenso è evidente: lo Stato eroga somme rilevanti per finanziare la produzione di film che pochi, da un lato, vanno a vedere al cinema mentre dall’altro ottengono (rari) passaggi solo in televisione. Si ha l’impressione che la parte migliore del nostro cinema sia diventata “prodotto di nicchia” e che stenti a raggiungere il successo anche economico che in qualche caso indiscutibilmente merita.

Il cinema, però, appare in stato confusionale un po’ dappertutto e principalmente a causa di fattori ben noti (Tv e rete Internet) che incidono fortemente anche sulle modalità di fruizione da parte dei “consumatori” di questa forma di espressione artistica.

Va soprattutto sottolineato che al botteghino riesce a vincere la sfida il cinema che sa dilettare (allietare, rallegrare, in definitiva far ridere) lo spettatore per almeno un paio d’ore.

Se le cose stanno così è inutile indignarsi, scandalizzarsi e poco costruttivamente scagliarsi a priori anche contro i non tantissimi film di valore che il nostro paese ogni anno riesce a esprimere: è il potenziale frequentatore della sala cinematografica che andrebbe educato all’arte e/o in qualche modo adeguatamente incentivato a non disertare i film che sono in grado di rappresentare la vera essenza del cinema. 

 

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