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Cile: un appello per fermare l’impunità a 40 anni dal Golpe

 L’11 settembre 2013 saranno trascorsi 40 anni dal sanguinoso colpo di stato diretto dal generale Augusto Pinochet. Sotto il suo governo militare (1973 -1990), le forze armate e di sicurezza cilene uccisero o fecero sparire oltre 3000 persone. Migliaia di persone furono torturate. Altre migliaia furono costrette all’esilio.
 
Grazie alla tenacia di molte vittime e loro familiari, alle denunce delle organizzazioni per i diritti umani e a pochi avvocati, magistrati e giudici coraggiosi, è stato fatto qualche passo avanti per contrastare l’impunità che ha caratterizzato le violazioni dei diritti umani commesse durante il regime militare di Pinochet. Alcuni presunti responsabili di quei crimini sono stati portati di fronte alla giustizia. Non il principale responsabile.
 
Resta dunque da fare molto altro. La ricerca di giustizia, verità e riparazione è ostacolata dai ritardi dei procedimenti giudiziari, da sentenze che non riflettono la gravità dei reati commessi, da amnistie e da misure che pongono limiti di tempo alla durata delle indagini.
 
Alla vigilia del 40esimo anniversario del golpe di Pinochet, Amnesty International ha lanciato un appello mondiale chiedendo al governo cileno di attuare misure concrete per fermare l’impunità per le violazioni del passato, del presente e del futuro. Quei crimini non dovranno accadere mai più.
 
In particolare, Amnesty International chiede l’abolizione del decreto legge 2191, conosciuto come legge d’amnistia; approvato durante il regime di Pinochet, si estende dall’11 settembre 1983 al 10 marzo 1978, ed è tuttora in vigore. Negli ultimi anni, alcune sentenze su sparizioni forzate ne hanno escluso l’applicazione, ma il provvedimento ancora getta un’ombra pericolosa su futuri procedimenti legali riguardanti le violazioni dei diritti umani del passato.
 
Il Cile deve inoltre riformare il codice di giustizia militare affinché i crimini commessi da esercito e polizia siano indagati dalla magistratura civile e sottoposti a processo nei tribunali ordinari, anziché in corte marziale. Il sistema di giustizia militare ha costantemente privato le vittime della giustizia, alimentando il clima d’impunità. Le modifiche del 2010, che hanno escluso gli imputati civili dall’applicazione della giustizia militare, sono state un passo avanti ma insufficiente.
 
Le proposte di riforma all’esame del parlamento devono assicurare che le violazioni dei diritti umani commesse dalle forze di sicurezza siano processate nei tribunali civili, in modo da garantire i principi d’imparzialità e del giusto processo.
 
Le iniziative delle vittime e dei loro familiari per conservare la memoria storica sono state fondamentali per creare una repulsione collettiva delle violazioni dei diritti umani, come le sparizioni forzate, commesse in Cile. Perché tali crimini non si ripetano, è fondamentale sostenere con misure adeguate e durature queste iniziative e i programmi di educazione ai diritti umani.
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