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Cile: Boric e il Governo sotto attacco

La difficile congiuntura economica, le alte aspettative della popolazione, la quotidiana opera di destabilizzazione da parte delle destre, ma anche l’ennesimo e non condivisibile stato d’assedio imposto ai mapuche, che ha destato notevoli perplessità, stanno mettendo in forte difficoltà la coalizione Apruebo Dignidad.

di David Lifodi

A pochi mesi dal suo insediamento il presidente cileno Boric e il suo governo sono in forte difficoltà. Da una parte, ha destato molte perplessità la gestione della questione mapuche, a partire dalla nuova militarizzazione del Wallmapu, dall’altra, la coalizione Apruebo Dignidad si trova a dover fronteggiare gli attacchi delle destre, che prefigurano uno scenario economico come quello venezuelano e non perdono occasione per delegittimare il giovane presidente. Nel mezzo, le aspettative molto alte della popolazione che, secondo alcuni sondaggi, in buona parte si sarebbe già pentita di aver votato per l’ex leader studentesco.

Inutile negarlo, il momento è difficile, ma ciò che sorprende è la rapidità con cui si è arrivati a questa situazione da quell’11 marzo 2022 che aveva suscitato tante speranze non solo nel Cile democratico e progressista, ma in tutta l’America latina, nonostante fosse evidente come la presidenza di Boric sarebbe stata all’insegna della socialdemocrazia e dei piccoli cambiamenti, più che di quei cambi radicali attesi soprattutto dai più giovani. In pratica, alle incertezze del governo si sono sommati evidenti tentativi di destabilizzazione nei confronti del presidente, nonostante sia chiaro che le difficoltà economiche non siano da imputare a Boric quanto agli effetti derivanti della pandemia.

A condurre la cosiddetta Operación político-económica-mediática especial” per mettere in difficoltà Apruebo Dignidad non solo l’oligarchia, ma anche ministri del primo governo di Michelle Bachelet, transfughi della ex Concertación, che tremano di fronte ai cambiamenti promessi da Boric, dalla lotta contro la corruzione alla riforma dell’istruzione e del sistema sanitario, fino alla messa in discussione di quei privilegi che fanno del Cile uno dei paesi più diseguali al mondo.

A questo proposito è indicativo l’articolo pubblicato da Linkiesta, Il Cile farà la stessa fine del Venezuela?, in cui l’economista Axel Kaiser, intervistato da Rainer Zitelmann, teme che il nuovo presidente Boric «potrebbe imporre nazionalizzazioni e patrimoniali, abbandonando la politica del libero mercato che nei decenni ha avuto successo nel ridurre la disoccupazione». Ora, a parte il fatto che sono state proprio le politiche di libero mercato ad accrescere le disuguaglianze sociali e a favorire il furto delle risorse naturali ad opera delle transnazionali (sia sotto i governi della destra sia all’epoca di quelli della Concertación), nel testo non si perde occasione per esternare il timore che il Cile diventi come il Venezuela, ad esempio con un attacco gratuito in merito al voto del 4 settembre per una nuova Costituzione: «La nuova costituzione è caratterizzata da una profonda sfiducia nel mercato e da una fiducia quasi illimitata nello Stato. Con 499 articoli, è la costituzione più lunga del mondo, ma invece di prendere esempio da buone costituzioni come la Legge fondamentale tedesca, hanno copiato molto da costituzioni come quelle del Venezuela e della Bolivia».

Queste posizioni fanno il paio con timori suscitati ad arte dall’estrema destra, ad esempio dai pinochettisti dell’Udi, che ripetono quotidianamente: “nos quieren quitar la libre elección, la libertad económica, la propiedad”. Ad approfittare di questa situazione sono stati anche i settori ultraconservatori delle Forze Armate, che guardano sempre con interesse alle dichiarazioni dell’ammiraglio in pensione e presidente della Liga marítima de Chile Miguel Ángel Vergara che, di fronte all’attuale comandante delle Forze armate cilene Juan Andrés de la Maza, è tornato ad alludere alla “minaccia interna” come all’epoca della dittatura militare.

Alle difficoltà del governo di far fronte alla attuale congiuntura politica, economica e sociale si sono sommate alcune politiche errate, a partire da quella di Iskia Siches, giovane ministra dell’Interno, volta a riprendere la militarizzazione del Wallmapu, per quanto il governo abbia scelto di utilizzare il termine “Estado de excepción de emergencia. La questione del territorio mapuche potrà essere risolta soltanto se alle multinazionali, a partire da quelle dedite al commercio di legname, non sarà più concesso di sfruttare le risorse del Wallmapu.

Di fronte a questa nuova militarizzazione, i mapuche temono che il governo Boric finisca per assomigliare molto agli esecutivi di Michelle Bachelet, che, a parole, sosteneva il diritto alla terra e allo sfruttamento delle risorse da parte dei popoli originari, ma che in pratica finì anch’essa per inviare più volte la polizia nel loro tereritorio.

Ad onor del vero occorre ricordare i viaggi di Iskia Siches, soprattutto in Araucanía, allo scopo di cercare un dialogo con i mapuche in una zona dove si sommano gli attacchi incendiari contro le imprese forestali, la penetrazione della criminalità legata al narcotraffico e il forte senso di insofferenza delle comunità indigene verso uno stato che, impossibile dar loro torto, considerano come oppressore. All’ennesimo stato d’assedio, i mapuche hanno risposto: “Sacando a los militares a la calle lo que ha hecho Boric es declararles la guerra a los mapuches”. Per questo motivo Boric è stato paragonato all’ex presidente Sebastián Piñera e la stessa Iskia Siches accusata di non aver posto la necessaria attenzione alle rivendicazioni dei mapuche.

Per Boric e Apruebo Dignidad si preannunciano mesi complessi, presi di mira dalle destre e, al tempo stesso, costretti a seguire una politica dei piccoli passi per far intraprendere al paese quella strada di un reale cambiamento che non può prescindere dall’attuazione di un serio programma di welfare e, soprattutto, di una reale pacificazione nei territori mapuche all’insegna di un vero rispetto dei loro diritti.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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