• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Mondo > Chiapas: padre Marcelo Pérez, un omicidio annunciato

Chiapas: padre Marcelo Pérez, un omicidio annunciato

Il sacerdote tsotsil è stato assassinato a San Cristóbal de las Casas il 20 ottobre scorso dalla criminalità organizzata. Ispirato dalla Teologia della Liberazione, da sempre schierato a fianco degli oppressi e delle comunità indigene e contadine, aveva denunciato il legame tra narcotraffico e istituzioni e denunciato più volte paramilitari e multinazionali estrattiviste.

di David Lifodi

Chiapas padre Marcelo Pérez

 

                 Foto: https://www.resumenlatinoamericano.org/

Quello di Marcelo Pérez, sacerdote tsotsil ucciso il 20 ottobre scorso a San Cristóbal de las Casas, nello stato messicano del Chiapas, è stato un omicidio annunciato. Il religioso, quarant’anni, da tempo aveva iniziato a ricevere minacce di morte poiché non esercitava soltanto il suo ruolo di guida spirituale, ma era da sempre schierato a difesa del territorio chiapaneco e delle comunità indigene.

Pérez, al pari di monsignor Oscar Romero, era un uomo di pace in una terra martoriata ogni giorno dall’estrema violenza perpetrata dalla criminalità organizzata, ma anche da istituzioni corrotte che continuani il Chiapas una sorta di hacienda privada, come denunciato dal quotidiano La Jornada nell’editoriale Marcelo Pérez: un crimen anunciado. E, proprio quasi come monsignor Romero, Marcelo Pérez è stato ucciso, non durante la celebrazione della messa, come accadde al sacerdote salvadoregno, ma poco dopo.

L’assassinio del sacerdote rappresenta un messaggio chiarissimo da parte dei gruppi criminali e legati al narcotraffico: in Chiapas guai a tutti coloro che cercano di farsi promotori di pace e sostengono, tra mille ostacoli, un processo verso la legalità. Claudia Sheinbaum, da poco alla guida del paese, ha ordinato di fare subito chiarezza sull’omicidio in uno Stato che ormai sta pian piano affondando e decomponendosi.

Era stato lo stesso Marcelo Pérez a denunciare che su di lui pendeva, ormai da tempo, una taglia da parte del crimine organizzato. Il sacerdote era alla guida del suo veicolo quando è stato affiancato da due uomini in moto che lo hanno ucciso con otto colpi di pistola. Ordinato sacerdote nel 2002 e sempre in prima fila, come mediatore, nei conflitti sociali, Pérez aveva denunciato più volte, pubblicamente, il traffico di esseri umani, di armi e lo sfruttamento delle risorse naturali, tanto da aver fondato, nel 2019, la Rete ecclesiale ecologica mesoamericana nel 2019.

A ricordare il suo impegno per la giustizia sociale il mondo cattolico, tramite il cardinale Felipe Arizmendi, vescovo emerito di San Cristóbal de Las Casas, la Conferenza episcopale messicana e il Consiglio episcopale latinoamericano (Celam), ma anche le organizzazioni popolari, che hanno chiesto verità e giustizia per “l’amico e compagno Marcelo Pérez”.

Nel settembre 2022, in una bella e coraggiosa intervista rilasciata a Raúl Zibechi, emerge, anche nella sua formazione, una traiettoria molto simile a quella di tanti sacerdoti latinoamericani che, dopo aver mosso i primi passi influenzati da un forte conservatorismo, hanno deciso di militare per i valori della giustizia sociale.

Nel 2001 padre Marcelo viene inviato a Chenalhó dalla sua diocesi di provenienza, quella di Tuxtla Gutiérrez, che certo non brilla per idee progressiste. È il quel contesto che il sacerdote comprende il dramma del massacro di Acteal, avvenuto pochi anni prima, il 22 dicembre 1997, quando 45 indigeni di etnia tsotsiles, riuniti in preghiera, furono assassinati a sangue freddo dai paramilitari che volevano colpire la lotta zapatista.

Ispirato dai principi della Teologia della Liberazione, Marcelo Pérez, si unisce ai movimenti sociali che esigono verità e giustizia per il massacro di Acteal e denunciano le responsabilità del governo chiapaneco. “Acteal me convirtió”, confessò a Zibechi, come del resto, le profonde disuguaglianze sociali e la violenza strutturale in Chiapas, come in El Salvador, avevano spinto Romero e Samuel Ruiz, tra gli altri, a prendere apertamente la difesa delle comunità indigene e contadine.

Già dieci anni fa, il Partido Revolucionario Institucional (Pri) cercò di far rivoltare la popolazione contro di lui, una delle famiglie legate all’oligarchia chiapaneca offrì un milione di pesos a chi avesse consegnato loro la testa del sacerdote e, successivamente, allo scopo di gettare discredito su di lui, lo accusarono di appartenere all’Ezln, con il quale condivideva l’idea che il cambiamento sociale non potesse venire da un partito, bensì dalla società civile, dai popoli indigeni e dalla fasce sociali più povere.

Marcelo Pérez, in una delle sue ultime uscite pubbliche, aveva dichiarato che il Chiapas era sull’orlo di quell’estallido social che, negli ultimi anni, ha attraversato paesi come Cile e Colombia. Dopo aver aderito, nel 2017, al Movimiento Indígena del Pueblo Creyente Zoque en Defensa de la Vida y el Territorio e aver partecipato ad una manifestazione a Tuxtla Gutiérrez, capitale dello stato del Chiapas, contro le concessioni del governo messicano alle multinazionali dell’estrattivismo minerario, il sacerdote aveva denunciato una volta di più l’alleanza tra lo Stato e il crimine organizzato a seguito dell’omicidio, avvenuto nel 2021, di Simón Pedro Pérez, catechista ed ex presidente dell’associazione Sociedad Civil Las Abejas de Acteal.

Fino all’ultimo giorno della sua vita padre Marcelo ha accusato le istituzioni di essere complici del narcotraffico e, nonostante fosse consapevole che le sue parole, di fatto, avrebbero accelerato ogni giorno la sua condanna a morte, più volte aveva sostenuto di non fidarsi della polizia, per lui attigua ai sicari della criminalità organizzata, schierandosi sempre dalla parte della sua popolazione.

Ojalá sea la sangre de sacerdotes y obispos, y no del pueblo”, ripeteva spesso Pérez, di fronte alla violenza quotidiana a cui dovevano far fronte indigeni e contadini chiapanechi. I suoi valori e i suoi ideali erano quelli di sostenere sempre le classi popolari. “Si ayuda dar mi vida, aquí estoy”, ebbe a dire una volta il sacerdote. Purtroppo la criminalità lo ha preso in parola, ma la sua morte difficilmente servirà a pacificare il Chiapas.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità