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Chi radicalizza lo scontro online

Consiglio vivamente la lettura di questa riflessione di Loz Kaye sul Guardian. La sua ipotesi è che i tentativi di repressione della libertà di espressione online condotti di recente in tutto il mondo abbiano radicalizzato l’attivismo digitale e l’hacktivism in quanto parte di un più ampio contesto che chiede una reazione.

Insomma, i cinquanta giorni terribili di LulzSec non sono stati un caso isolato, ma parte di un fenomeno più generale e vasto. Non «le ossessioni personali di un pugno di nerd», ma l’ultimo di una lunga catena di segnali (WikiLeaks, Anonymous ma anche il felice connubio tra tecnologia e rivoluzioni) che rivelano l’utilizzo di nuovi strumenti di partecipazione e controllo del potere da parte di un numero crescente e sempre più movitato (consapevole?) di individui che fino a ieri si sentiva impotente.

Ora quegli individui sono arrabbiati, perché i governi e le corporazioni, resisi conto delle capacità di quei mezzi, li vogliono addomesticare. Succede anche nelle democrazie avanzate: in Gran Bretagna (Digital Economy Act), Francia (Hadopi) ma anche Australia e, naturalmente, Italia. Da qui la radicalizzazione dello scontro tra le due fazioni. La guerriglia informatica scatenatasi ieri attorno alla protesta contro la delibera 668/2010 dell’Agcom sembra fornirne una chiara dimostrazione.

Che fare? Questa l’analisi di Kaye:

«Abbiamo raggiunto una giuntura critica: o spieghiamo le vele verso l’escalation del confronto, o viriamo per ridurre la tensione cercando una via d’uscita democratica, una che preservi il diritto di libera associazione.»

[...]

«ma ci vorrà più che ottenere che qualche Ngo sieda attorno a un tavolo per attenuare il vero e proprio senso di rabbia che avvelena la comunità online».

[...]

«Fin quando sembrerà che l’azione diretta sia più efficace dell’impegno democratico, è chiaro che la prima sembrerà un’opzione più attraente per molti. La linea ufficiale che internet sia un territorio pericoloso da sottomettere è responsabile di un’allarmante radicalizzazione. Questo non è soltanto un problema per le stravaganze dei tabloid e i nerd, ma per chiunque creda nella fondamentale importanza della libertà.

È tempo che i governi invertano la rotta delle imbarcazioni e traccino una nuovo percorso.

In altre parole: per ritornare sulla strada del confronto democratico, le istituzioni devono smetterla con la censura. Perché quella davvero «danneggia tutti». Capito, Agcom?

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