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Che cos’è David Beckham. Analisi socio-mediale di un’ala tattica

David Bechkam è la chiave di volta per scardinare mercati complicati per il football come la costa Ovest degli States (in cui risiedono moltissimi centro e sudamericani amanti del calcio, ma i consumatori forti sono tutti dediti al dio Basket. Ad Est invece aleggia ancora lo spettro scintillante dei Cosmos) e tutta l’area indocinese. Questo lo ha capito prima di tutto il Manchester con ritiri, partite amichevoli e grossi investimenti pubblicitari su David in queste zone del pianeta e l’intero sistema-calcio che ha avallato e spinto per la diaspora di un ottimo giocatore verso i Los Angeles Galaxy. Lo hanno capito anche i parrucconi della FA inglese che organizzano sempre più amichevoli con un occhio verso questi interessi (il 28 maggio, a Wembley, ci sarà Inghilterra-USA).

Beckham in queste realtà è venduto come un vero e proprio prodotto costituito da elementi materiali, segnici, culturali, ideologici e valoriali che si intersecano e hanno tutti la stessa importanza. E il canale unico attraverso cui far passare questi significati ai consumatori anche più riottosi non è l’attuazione della funzionalità dell’oggetto (ovvero il mostrare David che gioca al pallone), ma l’apparenza mediatica autoreferenziale. Beckham è il risultato del processo di perfezionamento della costruzione del prodotto-atleta da parte dei professionisti del marketing. Un prodotto che, secondo la quadripartizione valoriale di Greimas, esalta al massimo la ricerca a livello “cromatico e “morfologico”, puntando tutto sui valori ludici dell’oggetto, di presentazione e presta vendita del prodotto sulla base del suo apparire come simulacro.



Nei mercati suddetti, che David sia un’ala tattica molto intelligente dal tocco preciso e capace di punizioni insidiose è un’appendice poco funzionale alla vendita del prodotto. Quello che interessa è la sua immaterialità valoriale, quello che conta per gli oggetti contemporanei, secondo Augé. All’interno del discorso mediatico, Beckham assume tutto il suo valore commerciale, non presentandosi come un oggetto-muto (a livello semiotico), ma con un rapporto con il consumatore che “usa” il prodotto basato su un discorso che ha la capacità di influire fortemente sul consumatore stesso nella sua definizione dei desideri, degli scopi e dell’immaginario. L’immagine di Beckham diviene in questo modo la personificazione di un ordine comunicativo, rappresentativo, dove le forme sensibili sono il luogo d’incontro, di rievocazione, di cristallizzazione di immagini che conferiscono senso, di narrazioni che nel prodotto si condensano e che il consumatore sa leggere, comprendere e da cui vuole farsi influenzare.

L’immagine di Beckham è una bomba di significati e valori che indirizzano verso un determinato consumo:
il solo volto del calciatore inglese parla, riuscendo a far agire e a voler essere il consumatore, secondo l’idea di Barthes che degli oggetti “sono il sogno e il senso che fanno vendere”. Comprare Beckham in pratica vuole dire aderire a uno stile che permette fondamentali meccanismi di identificazione e autorappresentazione ai consumatori, i quali riescono in questo modo a definire una loro personale identità, ovvero, come diceva Sartre in “L’essere e il nulla”, “ad accumulare essenze psicologiche e su queste proiettare un sogno d’identità che porti a un sogno di totalità”.

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