Capitalismo e nazionalcomunismo capitalista cinese

Geminello Alvi è un economista molto originale e alcuni fenomeni attuali sembrano dare ragione a varie considerazioni apparse nel saggio “Il capitalismo. Verso l’ideale cinese” (Marsilio, 2011).
“La reputazione dell’armata in guerra è tutto, ed equivale alle forze reali”. Napoleone
L’esposizione di Alvi procede per catene riflessive estemporanee che riflettono numerose considerazioni storiche, politiche, sociologiche e psicologiche, intrecciate tra di loro, con lampi di colore che incantano la mente come un arcobaleno. E devono ammettere che è uno dei rari libri di economia dove si riesce a sorridere delle penose e avvilenti debolezze della condizione umana.
Lo studioso non risparmia commenti sarcastici ai potenti del passato e del presente, come Keynes e alcuni burocrati bancari e governativi (ad esempio Alan Greenspan). I suoi giudizi appaiono schietti e lapidari. Ad esempio per Alvi “l’euro servì non ad accrescere redditi e consumi, ma a lievitare e consolidare i patrimoni” (p. 250). Dal 1990 al 2003 i redditi sono cresciuti “circa di un ventesimo. Invece la ricchezza reale netta delle famiglie, nello stesso periodo, crebbe del 26,1 per cento, più di un quarto”.
Inoltre vengono citate delle opinioni molto provocatorie sul vero ruolo delle principali istituzioni. Probabilmente la migliore è quella di Friedrich von Hayek sul ruolo di una banca centrale: “Dubito che essa abbia mai fatto qualcosa di buono eccetto che ai governanti e ai loro favoriti” (p. 217).
Alvi considera il Pil un dato troppo generico e così ha provato a riclassificare il “Pil italiano in profitti, rendite e salari”: “Nel 2003 ai lavoratori toccava il 48,9 per cento del reddito nazionale netto; nel 1972 era il 62,9 per cento. La quota dei redditi da lavoro dipendente è regredita, ora è circa la stessa del ’51, dell’Italia prima del boom. Il che vuol dire, esagerando in furia del dettaglio, non troppo distante da quel 46,6 per cento che era la povera quota del 1881” (p. 61).
Ora è più semplice capire perché i burocrati preferiscono aggregare questo dato. E “I salari sono diminuiti in peso relativo in Italia anzitutto perché più tassati, e dunque il loro potere si è trasferito allo Stato: il reddito tolto agli operai è diventato avanzo primario statale con cui pagare gli interessi e il pubblico spreco” (p. 62). In effetti anche Luca Ricolfi sostiene una tesi simile.
Comunque secondo Alvi il sistema bancario nazionalcomunista cinese è molto oscuro e fragile, e “Il capitalismo non è riducibile, come mostrano i paradossi cinesi, alla venalità individuale, ma richiede, in dosi crescenti, complicità statali. Consiste d’individualissima invidia, persegue il lusso del superfluo, ma richiede lo stato in guerra o in stampa di banconote”. Quindi la monetazione statale e i finanziamenti alle nuove imprese sono le armi più sottovalutate dei cinesi.
Del resto anche l’economista e filosofo liberale John Stuart Mill affermò che “L’Europa sta avanzando risolutamente verso l’ideale cinese di rendere simili tutte le persone”. Io posso aggiungere che la vera intelligenza economica consiste nell’educazione dell’attenzione.
Geminello Alvi ha lavorato alla Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea con Paolo Baffi e ha collaborato con il “Gruppo Espresso”, “il Giornale”, “la Repubblica”, il “Corriere della Sera”. È stato membro del Consiglio degli Esperti del Ministero dell’Economia. Attualmente è consigliere del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, collabora con l’Agenzia Giornalistica Italiana e con la Fondazione ENI Enrico Mattei.
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