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Caffeina /3 – La bellezza contro le mafie

Caffeina /3 – La bellezza contro le mafie

Un misto di testimonianze, ricordi, versi e confessioni accompagnate da musica e canto. Parole e note per riportare in vita il monito di Peppino Impastato: “Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà“. Così per una calda, caldissima sera di luglio la voce di Francesca Barra esce dagli studi di Radio Rai 1 e diventa corpo, emozione. E il suo programma, La bellezza contro le mafie, si inoltra insieme al pubblico di Caffeina Cultura in un percorso che attraversa le storie di tante donne e tanti uomini che hanno sacrificato la vita per salvaguardare la dignità della propria terra.

 

Ci sono i versi di Isabella Morra, che testimoniano come già nel Cinquecento l’onore dei briganti potesse frapporsi fra gli umani sentimenti e divorare esistenze. Un codice che insegna a lavare le offese col sangue. Ed è proprio il sangue il filo rosso della narrazione, che riaffiora nel dolore delle madri di Plaza de Mayo, fazzoletti bianchi per raccogliere in un abbraccio la morte dei figli-dissidenti scomparsi, e allo stesso tempo sublima in parole di rinascita, di speranza: “Per me – dirà Hebe De Bonafini- essere madre ha significato accogliere nel mio grembo i miei bambini e farli nascere, e poi accoglierli di nuovo – nel mio grembo e nel mio cuore – quali militanti rivoluzionari”.

C’è il sangue che segna l’esistenza di Rita Atria, a undici anni privata del padre e a sedici del fratello – entrambi mafiosi. Che a diciassette trova il coraggio di lasciare la madre e confessarsi a Paolo Borsellino. Il sangue dello stesso Borsellino, e di Rita – soltanto una settimana dopo quel maledetto 19 luglio 1992 – incapace di sopravvivere alla morte del magistrato.

Ci sono le macerie, le morti insensate della Cecenia e il racconto del coraggio di Anna Politkvoskaja, la sua capacità di guardare nel profondo della barbarie e allo stesso tempo redimerlo attraverso i gesti di eroi dimenticati dalla storia e da quella stessa umanità che contribuiscono a salvare. Come Irina, che si frappone tra il soffitto della palestra di Beslan e i corpi dei figli e di Anna. Che “mentre tutto crollava”, intona una canzone e muore. “Senza un lamento, senza un grido, per non spaventarci”.

C’è il racconto di chi muore per coraggio, perché si oppone alla sudditanza ai racket, e di chi viene assassinato – ma da nessuno – così che i mandanti e gli esecutori rimangono ignoti per decenni. C’è chi trasforma i sogni delle donne in incubi di prostituzione, violenza, maltrattamento, morte. E’ la storia di Isoke Aikptani, ventenne nigeriana venuta in Italia inseguendo la speranza e fatta schiava, prima che prostituta. E’ il business delle mafie che fanno dell’Italia il “punto di smistamento per le donne che arrivano dall’Europa Orientale e dall’Africa”. E’ così che, di venti euro in venti euro, i corpi diventano cadaveri, e la dignità nulla.

E’ una bellezza tragica, quella raccontata da Francesca Barra, che si avvicina più al sacrificio che all’armonia, più alla vita che al pensiero. Una bellezza di guerra, più che di perfezione. Affamata di parole, di voci. E di domande. Come quella che la stessa Barra pone verso il termine dello spettacolo: “Ma se le madri dei desaparecidos sono scese in campo per i propri figli scomparsi, le madri dei ragazzi scomparsi in Calabria dove sono?” Fino a quando il silenzio si sostituirà a una risposta, le parole di Peppino Impastato e gli esercizi di memoria di Francesca Barra resteranno di drammatica attualità. 

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