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Brexit: Boris Johnson e la sfida multipolare

Pierluigi Fagan ci descrive determinanti e implicazioni geopolitiche della Brexit, processo che a suo parere segna il tentativo di Londra di reinserirsi come attore autonomo nel mondo multipolare.

Il sentiment medio britannico è chiaro: quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare. Il gioco che si fa duro è il mondo complesso che sarà sempre più complesso, i duri sono tutti i Paesi in grado di giocare il gioco. L’essere in grado premette ovviamente l’assenza di legami formali che impediscono la libera azione e consegue la necessità di avere più punti di forza che di debolezza per giocarsi la partita.

Jeremy Corbyn ha dato una interpretazione sostanzialmente ambigua di questo sentiment promettendo altri mesi o anni di incertezza ed ha perso con percentuali che non si vedevano da decenni. Boris Johnson ha incarnato appieno questo sentiment ed ha avuto una maggioranza che non si vedeva da qualche decennio. Al momento il mandato è forte tanto quanto vago, ma le due cose sono spesso abbinate in politica, specie nelle transizioni.

Nel fare analisi di situazioni sparse in giro per il mondo, bisogna immedesimarsi nella situazione e mentalità del luogo. Il più inutile degli sprechi di tempo è scrivere e leggere analisi auto-centrate. Così, penso si debba capire bene cosa è successo nell’Isola. Lo scrissi tre anni fa prima del fatidico referendum sul Leave – Remain: la posta in gioco era allora come è oggi lo statuto autonomo della Gran Bretagna come attore in un gioco multipolare. Il gioco non è a scelta, ci si trova, è determinato dalle condizioni di mondo, non risponde alle nostre preferenze, è così e basta. Lo puoi capire e ti adatti oppure non lo capisci e parli d’altro, cioè prendi tempo, cioè perdi tempo.

Così, europeisti o brexitisti nostrani, rischiano di leggere i fatti britannici secondo le loro preferenze e priorità. UK non è nell’euro, la sua posizione nell’UE le avrebbe permesso di porre veti su sviluppi indesiderati, ma il punto è che i brit non accettano, giustamente, che vengano posti loro. Non lo accettano per carattere e storia, ma anche perché, avendo classi dirigenti lucide nonché un popolo pratico di mondo, hanno capito che nel mondo che è e sempre più sarà, toccherà quantomeno avere mani libere per poi cercar di rinforzare i punti di forza e minimizzare quelli di debolezza secondo proprio interesse. Questo viene prima di tutto poiché attiene al tavolo di gioco che è il mondo e non l’Europa, attiene allo statuto di “giocatore” prima di definirne il carattere di gioco.

Altresì, i socialisti speranzosi, rischiano di leggere i fatti britannici secondo la loro categoria di “socialismo o barbarie” (iper-ultra-liberismo). Corbyn ha incarnato la più nitida speranza socialista o quanto meno socialdemocratica dei tempi recenti ed ha conseguito un risultato tremendo. Non è detto che la valanga dei votanti per Johnson sia tutta allineata all’iper-ultra-liberismo, è che non era questo il tema vero delle elezioni. Le elezioni erano sciogliere lo stato d’incertezza di come la politica britannica aveva gestito il voto del referendum. Rispondere a questa domanda con un elenco di operazioni di politica economica interna a sfondo sociale, non era in sintonia col momento.

Chiaro il mandato strategico richiesto ed ottenuto da Johnson, è tutto da vedere sul piano tattico come se lo giocherà. Il divorzio dall’UE si farà in due e vedremo se l’UE avrà -a questo punto- interesse a metterla giù dura per fargliela pagare o morbida per rimanere in uno stato di cordiale inimicizia. Macron vorrà la prima opzione ma Merkel la seconda. Vincerà Merkel secondo me anche perché tutta l’area del Nord Europa è cugina dei britannici, per storia e geografia e gli interessi economici tedeschi avranno – come al solito – la meglio su tutto. Si tratta solo di vedere quanto burocratica la faranno e quanto Johnson in virtù dell’ampio mandato, vorrà mediare o tagliare veloce e quanto la minaccia di tagliare veloce porterà gli europei a calare le braghe.

Un rinnovato patto di amorosi sensi con gli USA è scontato, l’asse atlantico, storico e geografico anch’esso, si rinsalderà nuovamente e questo giocherà a favore di Trump per le elezioni di novembre 2020, accanto al buon funzionamento del nuovo accordo commerciale già in atto con Messico e Canada e qualche pace commerciale provvisoria (molto provvisoria) con la Cina.

Accordi commerciali, ma dal punto di vista britannico soprattutto banco-finanziari, con Giappone, Corea del Sud, India, Cina, Canada ed Australia nonché tutta la pletora di ex Commonwealth, è anche scontato. Così il potenziamento dell’attività off shore che è la specialità della casa, ora col chiaro intento di andare a succhiare buona parte dei capitali europei in cerca di ricovero fiscale. Cosa che qui da noi peggiorerà le diseguaglianze, via sempre minor introito fiscale.

Tutto ciò richiederà tempo e gli effetti si vedranno nel tempo medio-lungo. Nel breve qualcuno dovrà pagarne il costo che non sarà basso e quel qualcuno saranno le fasce medio basse della popolazione, as usual. Privatizzazioni, liberalizzazioni, de-fiscalizzazioni per i detentori di capitale, sono le ovvie ricette che il dottor Johnson si è guardato bene da esporre (al contrario di Corbyn che ha parlato solo di quello), ma che a questo punto ha formalmente mandato numerico di porre in essere. Il suo era un “prendi uno” (la Brexit), “paghi due” (il suo costo e le politiche economico-fiscali in salsa liberista).

Il mondo multipolare saluta il nuovo-vecchio giocatore, il mondo delle diseguaglianze saluta un nuovo potente diseguagliante, l’Europa saluta il vicino eccentrico che sarà sempre più scomodo, gli “anglo-sassoni” salutano il riformarsi dell’orda originaria. A noi rimane il gusto di discutere qualche altra settimana del MES, di migranti, di populisti e sovranisti ed altre perdite di tempo. La Storia, che è “il Tempo”, giudicherà.

L'articolo La sfida multipolare di Boris Johnson proviene da Osservatorio Globalizzazione.

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