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Blue Note Jazz Festival in Japan

Collegato al ben più lungo festival di New York, l’omonimo locale di Tokyo ha proposto in un unico pomeriggio il ‘Blue Note Jazz Festival in Japan’, nella città di Yokohama, in un grande spazio aperto che dà sul mare. I prezzi dei biglietti sono abbastanza salati, se si riflette sia sul programma offerto, sia sulla distanza dai due palchi allestiti (Diz e Bird) per i sei concerti in cartellone.

I nomi di punta - Pat Metheny e Jeff Beck - aprono e chiudono i tre concerti nel palco principale (Bird) ; nel mezzo, il Robert Glasper trio. Chi scrive ha assistito ai primi due . Beniamino amatissimo del pubblico giapponese, Pat Metheny (12 agosto 1954), si presenta in trio assieme al contrabbassista Scott Colley e al batterista Danny Gottlieb, ai quali si affianca la ‘Blue Note Tokyo All-Star Jazz Orchestra’, diciotto elementi diretti dal trombettista Eric Miyashiro, un tipo piuttosto grassoccio, dalla capigliatura foltissima interamente tinta di un biondo/bianco, un colore che ricorda la paglia o le bambole Barbie.

Dopo due pezzi dal suo vasto repertorio, il primo swingante, il secondo “James”, accattivante, facile da memorizzare, all’epoca un successo, visibile oggi in diverse versioni sul web, Metheny passa a “Hommage” a Eberhard Weber, una lunga suite di trenta minuti, che dà il titolo all’album da poco uscito per ECM, preziosa testimonianza di una intensa due giorni, il 23 e 24 gennaio scorsi, al Theaterhaus di Stoccarda, organizzata per celebrare il 75° compleanno del contrabbassista tedesco Eberhard Weber, nato per l’appunto a Stoccarda il 22 gennaio 1940, colonna portante dell’etichetta bavarese, il quale negli anni ’70 suonò spesso con Metheny, partecipando all’incisione di uno dei suoi primi LP, “Watercolors”. Weber ha ricevuto il “Jazz Preis Baden Wurttemberg” (la regione di cui Stoccarda è capoluogo) e il “Sonderpreis fur das Lebenswerk”. Nell’occasione Manfred Eicher, deus ex machina ECM, ha registrato il concerto, confluito in parte nel CD. “Hommage a Eberhard Weber”, oltre alla composizione omonima, contiene altri 5 pezzi, tutti di Weber, ad eccezione di quello iniziale, composto ed eseguito da Jan Garbarek, uno dei molti ospiti, colleghi ed amici del musicista tedesco, che dal 2007 non è più in grado di suonare il suo strumento, un originale contrabbasso a cinque corde da lui stesso costruito, a causa di un colpo apoplettico. In ‘Hommage’, Pat Metheny ha selezionato una serie di video clips di assolo di Eberhard Weber, estratti da svariate performances, visibili in uno schermo dietro ai musicisti, i quali interagiscono con le clips, dando vita ad un’emozionante sequenza narrativa, in maniera tale che Weber sembra far parte realmente dell’ensemble.

Lo spartito originale è stato scritto per la SWR Big Band, in italiano la “radio del sudovest”, nata nel 1951 come “Sudfunk Tanzorchester, dal 1998 con il nome attuale (Sudwestrundfunk). In Giappone, l’Orchestra locale ha mantenuto lo stesso numero di musicisti di quella tedesca( 18 + il direttore ) . La Suite inizia e si conclude con i fiati intenti contemporaneamente a soffiare negli strumenti per ottenere un suono simile a quello del vento. Ogni membro del trio si ritaglia lunghi assolo. Metheny posa l’Ibanez jazzistica per una chitarra elettrica rossiccia dotata di una vasta gamma di sonorità. Gottlieb interagisce gradevolmente con la percussionista dell’Orchestra, Tamao Fujii : ne esce una serie di breaks ideati al momento, mentre commovente risulta il dialogo tra Scott Colley e Weber.

Dopo un lungo assolo di quest’ultimo, Colley esegue una toccante parte solista, quasi un abbraccio al collega, un invito a non mollare. Dopo la Suite è la volta di uno dei pezzi di punta del ‘Pat Metheny Group’, “Last Train Home”, un po’ strano per la sua delicatezza, nella versione assieme a molti fiati. Il pubblico applaude soprattutto il proprio idolo, sorriso stampato a 36 denti, il quale ringrazia ed elogia l’Orchestra, responsabile dell’arrangiamento della Suite. Metheny è apparso in ottima forma, a parte l’inevitabile comparsa di un accenno di pancetta, imputabile all’età.

È uno dei pochi musicisti cui piace rimanere sul palco a suonare per molto tempo, sempre generoso nei riguardi della platea. E infatti il chitarrista ricompare anche durante il secondo concerto di punta, quello del Robert Glasper trio, facendolo decollare intervenendo in un pezzo di Freddie Hubbard, eseguito parte con l’Ibanez, parte con la sanguigna elettrica. Il pianista texano (5 aprile 1978), discograficamente assai attivo, è cresciuto tra il Soul e il Gospel, grazie alla madre, il che lo ha spinto a mescolare armonie di chiesa e del gospel con quelle del Jazz e dell’Hip Hop, per creare un proprio stile. Ma quel che sortisce è una musica ‘Easy Listening’, che dopo un po’ annoia, anche se tutti i musicisti sembrano possedere una buon bagaglio tecnico: il contrabbassista Vicente Archer, solido nell’accompagnamento e autore del brano conclusivo; il batterista Damion Reid, trentaseienne virtuoso californiano, da giovanissimo a lezione da un maestro quale il compianto Billy Higgins, si è congedato dal pubblico con un lungo assolo poliritmico, intenso, assai apprezzato da una platea in questo caso meno numerosa, e che già si apprestava, forse, ad ascoltare uno tra i veterani della chitarra Rock, Jeff Beck, partner di Eric Clapton negli Yardbirds. In sintesi, una domenica pomeriggio passata ad ascoltare della buona musica, accarezzati dalla brezza in mezzo al mare nello storico porto di Yokohama.

Nota finale. Un festival di così grande impatto numerico in Giappone non è fonte di stress, né causa intasamenti stradali, grazie ad un comportamento in generale rispettoso sia in entrata che in uscita dalle differenti sorgenti sonore, dai parcheggi o nel tragitto a piedi (15 minuti scarsi) tra la stazione ferroviaria e il luogo prescelto per la musica.

 

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