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Anticipazione delle inchieste di Report: la fine di Alitalia e il piano pandemico

Sono tutti temi su cui Report si è già occupata nel recente passato quelli toccati dai servizi di questa sera: la fine dell'esperienza araba dentro Alitalia, il piano pandemico che è mancato all'Italia (come sarebbe potute andare le cose?) e infine come vengono reclutati infermieri e medici per gestire questa seconda ondata.

Che fine ha fatto Alitalia

Ora che Alitalia è tornata pubblica, sono tutti pronti a criticare il governo (questo governo) che ha stanziato altri fondi per tenere in vita Alitalia, quel pozzo senza fondo che ha drenato denaro pubblico senza mai uscire dalla crisi.

Eppure in Alitalia sono entrati anche i privati, prima i capitani coraggiosi (definizione dell'ex presidente Berlusconi) coi loro bravi manager. E poi gli arabi nell'avventura durata due anni sponsorizzata dal governo Renzi: alle spalle hanno lasciato tre miliardi di debiti e manager sotto inchiesta.

Allacciatevi le cinture, Alitalia decolla, sono le parole con cui l'ex presidente del Consiglio Renzi annunciava la nuova era della ex compagnia di bandiera, che finiva sotto la gestione di Etihad.

Report è venuta in possesso della relazione di alcuni periti della procura: cosa rimane sul groppone degli italiani di quella Alitalia? Privilegi sindacali, sprechi e un aereo un po' arrugginito.

L'avventura di quella Alitalia con Etihad durò appena due anni e mezzo e poi furono portati i libri in tribunale. Perché i padroni arabi chiedevano e i manager italiani non si opponevano – racconta il giornalista Danilo Procaccianti: l'Italia ha dovuto pagare un nuovo sistema di prenotazione dei biglietti, costato circa 63 milioni in più rispetto al precedente, voli vuoti effettuati dalle compagnie regionali di Etihad, 99,4 milioni offerti ad Alitalia Sai e poi le nuove divise di Alitalia.

Al di là dell'aspetto, quelle divise sono costate almeno 6 milioni di euro e ora sono finite dentro dei cartoni, mai usate.

Il giornalista è andato a vederle, tolte dall'imballaggio di plastica, dal magazzino dove sono conservate: più di 1 milione di euro di materiali che è lì a marcire.

Il magazzino è quello della Egv1 di Gallarate a cui era stato appaltato l'ordine e che è invece stata pagata solo per il primo lotto.

Alitalia doveva altri soldi alla Egv1 che oggi è creditore per circa 240mila euro, azienda che ha dovuto mantenere nel suo capannone tutta quella merce, per un eventuale controllo.

A questo si è aggiunta la beffa: all'azienda è stato chiesto di restituire 900mila, gli ultimi 3-4 mesi di fatturato della gestione Etihad-Alitalia.

Di questa merce, cappotti, divise, nessuno sapeva niente – racconta l'AD – perché poi Etihad ha rifatto le divise, quelle in tonalità rosso: l'azienda ha preferito spendere 6 milioni di euro per quelle divise piuttosto che prendersi quelle della Egv1.

Non è l'unico spreco della gestione araba: l'ex consulente del ministro Toninelli Gaetano Intrieri ne ha trovati altri: “ho trovato persone di Alitalia che vendevano componenti di Alitalia a 1200 euro per poi ricomprare lo stesso componente a 250mila euro, gente [dirigenti Alitalia] che si è fatta trasportare la casa giocattolo del figlio da Roma a Londra.”

I manager sembravano come l'orchestrina sul Titanic, talmente sprezzanti del bene pubblico da lasciare in un ristorante, mentre Alitalia affondava, una mancia da 1000 euro (e il pranzo lo ha pagato Alitalia): Montezemolo che avrebbe dovuto tutelare gli interessi italiani dalla disinvoltura degli arabi non si è accorto di nulla.

 

 

 

L'inchiesta racconterà anche della multa presa da Etihad-Alitalia dagli ispettori del lavoro per la gestione “allegra” degli ammortizzatori sociali nel 2015 e nel 2017: l'azienda non aveva consentito la fruizione dei riposi per il personale navigante – racconta Antonio Amoroso di Cub trasporti – per oltre 160mila giornate, come se in una azienda metalmeccanica il lavoratore il sabato e la domenica, anziché a riposto lo si mettesse in cassa integrazione, scaricando sulle tasche dei contribuenti il suo costo.

Gli ispettori del lavoro hanno anche inviato una informativa riservata alla procura di Civitavecchia dov'è stata aperta un'inchiesta per truffa: nelle carte gli ispettori puntano il dito sul ministero del lavoro dell'epoca per “omissione di controllo sugli atti”.

Danilo Procaccianti ha voluto sentire l'allora ministro in proposito, Giuliano Poletti: “me ne parla per la prima volta, non ne so assolutamente nulla.. non è che il ministro controlla”.

Ma nessuno al suo ministero controllava gli ammortizzatori sociali concessi ad Alitalia?

Non c'è solo il ministero che non ne sapeva nulla (“questa la sua opinione” dice Poletti): anche i sindacati non avevano fatto alcuna verifica.

Ivan Viglietti di Uil Trasporti ha risposto al giornalista sostenendo che l'ispettorato del lavoro, sul tema dei riposi, ha interpretato male il contratto di lavoro: ma il sospetto è che i sindacati abbiano chiuso un occhio dopo aver firmato un accordo del luglio 2017 con l'azienda in cui si concedevano 3432 giornate annue di permessi per ogni sindacato, un'enormità per un'azienda in amministrazione straordinaria.

Secondo il sindacalista della Uil, dopo quell'accordo ce ne sarebbero stati altri di riduzione, ma al momento il segretario Viglietti non ha portato a Report alcun accordo successivo.

E' come se settanta posti di lavoro fossero dispensati dal lavoro – spiega l'altro sindacalista della Cub Amoroso: “mentre si risparmiava sul costo del lavoro, mentre si tagliava con Alitalia Etihad, mentre si bloccavano gli scatti di anzianità, mentre i lavoratori subivano la cassa integrazione, quindi sospesi dal lavoro, questo non è una tutela ma è un privilegio, siamo nel campo del privilegio più sfacciato. Per altro sono accordi che prevedono il pagamento della diaria, l'azienda gli pagava il pranzo ..”.

Che ne pensano i commissari che dovevano controllare i conti dell'azienda?

Giuseppe Leogrande, su questo accordo è stato laconico: verificheremo, ne prendo atto, .. l'accordo è stato fatto da Gubitosi nel 2017, non di certo dagli attuali commissari. Che facciamo di questo accordo? Lo cambiamo prima di concedere altri fondi a sostegno?

Il mistero del drone della Piaggio.

 

 

 

Un drone dell'azienda Piaggio è caduto in mare il 31 maggio 2016, dopo essere decollato dall'aeroporto di Birgi a Trapani: il relitto è stato recuperato e, racconta il generale Vecciarelli (capo di Stato Maggiore della Difesa) se sia caduto da solo o se sia stato abbattuto.

E' il secondo prototipo della Piaggio Aereo, il primo era stato appena mandato agli Emirati Arabi Uniti.

L'indagine sulla caduta del drone è stata secretata ma Danilo Procaccianti ha incontrato un ex alto rappresentante della difesa che ha raccontato come sarebbero andate le cose.

 

“La cosa è semplicissima, l'aereo è andato giù, tra l'altro, nella sala di comando degli aeroplani, c'erano due piloti del mio corso, loro hanno azionato l'autodistruzione dell'aeroplano che è un pulsante che sostanzialmente porta ai piani di coda dell'aereo.”

 

E' stato distrutto apposta?

 

“E' stato fatto apposta perché in quel momento siano noi che gli emirati avevamo avuto l'autorizzazione dagli americani ad armare i droni, per cui eravamo tutti appagati da questo punto di vista. La mattina alle 9 l'aero arrivato agli emirati, caricato il prototipo, l'altro dopo un ora va in volo, libero da ogni traffico, non c'erano barche, non c'era niente in giro, .. quindi nell'arco di un'ora il programma non c'è più.”

 

Il programma di sperimentazione è compromesso, Piaggio si ritrova senza droni e senza soldi, eppure pochi mesi prima l'AD di Mubadala Development Company (la società di investimenti di Abu Dhabi che ha poi acquisito Piaggio Aerospace) ricevette il riconoscimento della gran croce come Cavaliere della Repubblica, su proposta del presidente Renzi, per il suo lavoro in Piaggio.

Report ha intervistato Rossella Daverio, ex capo comunicazione di Piaggio Aerospace: “è un po' curioso che l'Italia attribuisca una delle sue più alte onorificenze a una persona che ha lasciato dietro si se tante macerie.”

A Piaggio fu anche detto di non divulgare la notizia, il comunicato stampa fu bocciato dai legali della Piaggio, dal ministero della Difesa (ministro Pinotti).

E infine c'è l'Air Force Renzi: è l'Airbus che l'Italia, governo Renzi (che diversamente da altri politici, ha accettato di rispondere alle domande), ha preso in leasing da Etihad: l'ex presidente dà la colpa ai dirigenti del ministero, sono loro ad aver scelto quella formula, erano stati pagati per quello..

Ma sono stati soldi spesi bene?

Ora l'aereo è fermo in un piazzale dell'aeroporto di Fiumicino, dopo che è stato rescisso il contratto, almeno da fine febbraio 2018.

Etihad lo considerava così un rottame che non è nemmeno preoccupata di andarselo a riprendere: anche i generali dell'aeronautica avevano sconsigliato la scelta, perché troppo costosa: viaggi con più di 200 persone per tratte internazionali sono solo il 5% degli spostamenti, e un quadrimotore ha costi di carburante troppo alti.

C'è un documento, del sottosegretario De Vincenti, in cui si giustifica la scelta sostenendo che gli altri aerei in dotazione erano obsoleti (anche se del 2005). De Vincenti consiglia poi la strada del leasing, altra scelta poco parsimoniosa, perché sarebbe costato 200/300 ml di euro.

Un aereo gemello è stato acquistato ad un costo di 7ml di dollari, racconta l'ex consulente del ministero Intrieri.

 

 

 

In consulente ha fatto rescindere un altro contratto da 168ml, aereo che aveva un valore di mercato tra i 5 e i 10ml: lo stato italiano ha pagato subito 25ml per questo aereo che non era nemmeno di Etihad.

Lo stato avrebbe pagato 167 ml per un leasing di un aereo che Etihad aveva dato in leasing ad Alitalia a 67ml.

Il Fatto Quotidiano oggi da una anticipazione del servizio con un articolo di Vincenzo Bisbiglia

 

Prima di vendere le quote, nel 2014, Alitalia aveva svalutato in maniera “non corretta” le quote di una sua partecipata, Alitalia Loyalty, risultando così più appetibile all’acquirente Ethiad. Tutto ciò mentre l’azienda degli Emirati Arabi produceva verso la compagnia di bandiera italiana fatture probabilmente gonfiate. E mentre si accavallavano gli extra-costi, fra straordinari considerati in quota cassa integrazione – e dunque pagati dai contribuenti – costi di catering abnormi e lussuosi voli di Stato sull’Airbus 340-500, noto come “Air Force Renzi”. Sono alcune delle conclusioni di Ignazio Arcuri e Stefano Martinazzo, nelle loro 526 pagine di relazione tecnica consegnata alla Procura di Civitavecchia e, nelle scorse settimane, alla Corte dei Conti di Roma, che indagano sul crack di Alitalia, nonostante il salvataggio “tentato” dall’ex premier Matteo Renzi insieme a Luca Cordero di Montezemolo.

 

Se Etihad ci ha cannibalizzato, la responsabilità sarà di qualcuno, Report cercherà di dare qualche risposta.

La scheda del servizio: ALLACCIATE LE CINTURE di Danilo Procaccianti in collaborazione di Roberto Persia

 

In questo periodo si parla tanto di Alitalia perché il governo Conte ha deciso di stanziare 3 miliardi di euro per salvarla. Si aggiungono ai tanti soldi pubblici messi in campo in quello che sembra un pozzo senza fondo. E quando è toccato ai privati? L’ultima avventura è stata quella con gli emirati di Etihad, una partnership fortemente sponsorizzata dall’allora premier Matteo Renzi. Come è finita? Molto male. Dopo due anni e mezzo hanno portato i libri in tribunale. Ma il rapporto degli Emirati con l'Italia in epoca Renzi non si esaurisce con Alitalia: Report mostrerà tutti i documenti sul famoso Air Force Renzi, l'aereo di Stato voluto dall'ex premier. Si era siglato un accordo, sempre con Etihad, di svariati milioni di euro per un aereo che valeva pochissimo ed era fuori produzione dal 2011. Inoltre, l’inchiesta racconterà la vicenda di Piaggio Aerospace, l'azienda aeronautica del settore sicurezza e difesa anch'essa entrata in possesso degli Emirati Arabi in epoca renziana. E poi c'è un drone militare in sperimentazione, precipitato misteriosamente.

 

Il piano pandemico che non c'è(ra)

Come sarebbero andate le cose, in Italia, se avessimo avuto un piano pandemico efficace per fronteggiare la prima ondata del Covid?

Se il ministero e le regioni non si fossero mosse in base ad indicazioni sbagliate, in modo approssimativo, improvvisando anche.

Quante persone si sarebbero salvate?

Report e Giulio Valesini tornano sul tema e sulle domande senza risposta al direttore aggiunto Ranieri Guerra, ex dirigente del ministero della Salute e responsabile proprio di quel piano.

Pare che Ranieri Guerra sia coperto da immunità diplomatica: così sostiene l'Oms che ha scritto alla Procura di Bergamo e ai ministri Di Maio e Speranza, dove mostrava una certa irritazione nei confronti della procura lombarda e ricorda che i loro ricercatori e funzionari godono di una immunità e che dunque non sarebbero tenuti a rispondere ai magistrati italiani.

 

 

L'Oms ha invitato i suoi ricercatori a non presentarsi di fronte ai giudici anche contro la loro volontà di testimoniare: una fonte del ministero della sanità racconta di come l'Italia in questo momento sia al centro di uno scontro diplomatico istituzionale a livello internazionale, per via dell'indagine della procura di Bergamo.

 

“I magistrati avevano chiamato a testimoniare oltre a Ranieri Guerra anche gli autori del rapporto poi censurato, ma l'Oms non vuole che si presentino e ha creato ostacoli. La procura ha allora chiesto sponda alla Farnesina, per sentirli il 25 novembre, anche in questo caso l'Oms ha messo il veto facendo intendere ai ricercatori che se fossero andati il loro posto di lavoro sarebbe stato a rischio.”

 

In che modo l'Oms può ostacolare la giustizia italiana, nonostante le migliaia di morti?

Con lo strumento dell'immunità: sempre la fonte anonima del ministero “legga questa comunicazione che gira nei nostri uffici, l'Oms dice che preferiscono rispondere per iscritto, si appellano ai trattati internazionali.”

Uno dei ricercatori che avrebbe dovuto presentarsi di fronte ai magistrati è il dottor Zambon, del gruppo di ricerca di Venezia: le risposte date al giornalista fanno capire quanto sia complicato in questo momento esporsi, mettersi al di fuori dalla linea di condotta che Oms ha dato.

 

“La prima volta sono stato convocato come persona informata sui fatti, se vogliono risentirmi certamente ci vado.”

 

E sulla questione dell'immunità diplomatica? Come mai Ranieri Guerra è andato a parlare ai magistrati?

Il giornalista racconta che nella sua deposizione, Ranieri Guerra avrebbe criticato il rapporto dei ricercatori di Venezia sostenendo che fosse pieno di inesattezze.

 

“Questa è una cosa che respingo al mittente, il rapporto è stato scritto da una persona che ha scritto quattro modelli per la salute, scrive su Lancet, non è assolutamente pieno di inesattezze, questa non è una cosa che è possibile dire.”

 

Valesini ha chiesto poi a Zambon se fosse vero che Ranieri Guerra ha fatto pressioni sul suo gruppo perché avevano detto che il piano pandemico non era aggiornato, ma che era stato riproposto dal 2006, sempre uguale.

Su questo Zambon non ha voluto parlare: c'è ancora la sensazione di essere a rischio licenziamento, “da maggio non è una situazione piacevole, io non so come andrà a finire ..”

Pensa di essere finito in qualcosa più grande di lei? - Chiede Valesini: “Non lo so, sicuramente in qualcosa sono finito ma non so in cosa...”

La scheda del servizio: IL PARAFULMINE di Giulio Valesini e Cataldo Ciccolella con la collaborazione di Norma Ferrara, Eva Georganopoulou e Alessia Pelagaggi

 

Un documento dell’Oms denunciava che il piano pandemico italiano è del 2006, come scoperto da Report. Poche ore dopo la sua pubblicazione viene rimosso. Secondo le stime del Generale Lunelli, esperto di difesa batteriologica, un piano aggiornato avrebbe salvato diecimila vite. Report tornerà a raccontare con documenti esclusivi cosa è successo davvero nelle stanze dell’Oms e perché il rapporto scomparso è una bomba mediatica, tra incidenti diplomatici, cattivo uso di fondi della cooperazione, immunità diplomatica usata da scudo contro le convocazioni della procura di Bergamo e una curiosa comunione di intenti tra i pezzi grossi dell’Oms e il nostro ministero della Salute.

 

Cosa non è stato fatto per fronteggiare questa seconda ondata

“Il pronto soccorso è la porta d'ingresso dell'ospedale, dovrebbe essere il fiore all'occhiello di un ospedale” dice Mirko Schipilliti membro dell'associazione nazionale dirigenti medici in Veneto.

 

 

 

Servono medici specialisti e infermieri adatti a lavorare nel ramo emergenza, ma da anni non se ne trovano abbastanza: lo racconta un altro medico, Beniamino Susi dirigente del Pronto Soccorso del San Paolo a Civitavecchia “faccio un esempio, la nostra ASL ha fatto un concorso per 53 posti a tempo indeterminato, medici di urgenza, si sono presentati in cinque.”

In Italia mancano i medici specialistici, dunque, e così ospedali e Asl, già da prima di Covid-19, hanno delegato il compito di reclutare personale alle coop private: “è come quando io ho avuto bisogno di una badante per mia madre sono andato in un'agenzia e ho chiesto mi serve una badante dal 1 al 31 agosto, oppure quando fai un catering e ti mandano i camerieri” è sempre il dotto Susi a parlare.

Ma medici e infermieri non sono come i camerieri, con tutto il rispetto per quest'ultimi.

“C'è un vulnus a mio modo di vedere” dice Andrea Benazzato responsabile associazione medici dirigenti in Veneto “perché non hanno modo di vedere chi sono i medici della cooperativa perché la selezione la fa la cooperativa ”

Come fanno la selezione le cooperative? Adele Grossi ha fatto finta di essere un medico e ha provato a candidarsi: anche se non si hanno esperienze nel settore, la branca del pronto soccorso è l'unica – dice il selezionatore – che permette di inserire professionisti anche non specialisti.

Ovvero inserire nelle strutture di primo soccorso persone senza esperienza: negli ordini di servizio delle strutture si legge dunque “medico coop”, una sigla senza nemmeno un nome e un cognome.

Senza nemmeno sapere se il collega medico, somministrato dalle cooperative, che ti sta affiancando ha veramente una specialità, forse non lo sa nemmeno il primario.

Come siamo arrivati a questo, dopo aver visto coi nostri occhi gli effetti della prima ondata di Covid?

Perché non sono stati rinforzati i pronto soccorsi e i presidi territoriali (dove ci sono) per tempo?

Si torna al solito problema, mancano i medici: mancano da almeno cinque anni e gli aumenti non sono stati nemmeno previsti dalla riforma di un anno fa per ridurre i tempi di attesa e promettendo standard di cura più elevati.

Chiara Pivetti – segretaria dell'associazione medici dirigenti in Piemonte- racconta di come in questi anni nulla sia cambiato, si continuano ad avere code dei pazienti, difficoltà a ricoverarli, burnout del personale che chiede di andare via.

Il perno delle nuove norme è via i codici bianco, verde, giallo e rosso per passare ai numeri, dall'uno (l livello più grave) al cinque, con tempi massimi di attesa predeterminati, accesso immediato in emergenza, quindici minuti per il codice due, 60 per il tre, 120 minuti per il codice 4, e per il 5 l'utente non deve aspettare oltre le 4 ore.

E se l'utente aspetta cinque ore invece? Non succede niente, è una presa in giro per gli utenti.

“Se non si riesce a migliorare l'organizzazione del territorio, l'organizzazione dell'ospedale, soprattutto aumentare il personale, rimane tutto su carta, l'organizzazione non potrà che peggiorare” - commenta Chiara Pivetti.

Sulla carta è rimasto anche il ticket, previsto dalla maggior parte delle regioni a carico dell'utente che va in pronto soccorso senza reali urgenze e a cui viene assegnato il codice bianco, oggi codidce 5.

“Ma se a Roma devo far pagare il ticket a tutti dopo un po' devo chiamare la vigilanza” racconta alla giornalista Sandro Petrolati responsabile dell'area urgenza dell'associazione medici dirigenti: perché le aggressioni contro medici e infermieri sono in media tre al giorno, 1200 i casi denunciati, 456 in Pronto soccorso, che è anche il reparto dove ogni anno si registrano più sinistri, ossia errori diagnostici, terapeutici.

“Perché il codice è un semaforo: vedo prima te, poi altri, ma non è la diagnosi. In un codice bianco può nascondersi una patologia tempo-dipendente che mette a rischio la vita del paziente e serve personale qualificato per identificarla”, dice Mirko Schipilliti.

Personale che oggi arriva da cooperative senza aver avuto tempo di fare una formazione.

La scheda del servizio: MISSION IMPOSSIBLE? di Adele Grossi in collaborazione di Norma Ferrara

 

L'Italia avrebbe dovuto farsi trovare pronta alla seconda ondata: c'erano addirittura sul tavolo 192 milioni di euro stanziati dal Governo per potenziare i pronto soccorso e altre risorse per incrementare il numero dei medici, eppure i primi restano insufficienti e spesso inadeguati; i medici, invece, sono pochi, o meglio sono pochi gli specialisti, soprattutto nel ramo emergenza-urgenza. È così che ospedali e Asl, già da prima dell'emergenza sanitaria, hanno delegato il compito di reclutare personale alle cooperative private che inviano medici negli ospedali italiani, spesso neolaureati e privi di esperienza.

Foto di pkozmin da Pixabay 

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