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Remember Shakti a Pordenone

Anteprima "Il volo del Jazz 2013" a Pordenone, Teatro Verdi, 11 novembre: Remember Shakti. 

Il più bel concerto cui chi scrive ha assistito nel 2013. Di un’intensità unica. Con momenti di commozione, al punto che le lacrime sgorgavano copiose, incontrollabili. Un unico set, senza pause, tutto d’un fiato, basato, com’è giusto che sia, sull’improvvisazione. E che improvvisazione!

Due chitarristi e due percussionisti che si incrociano, dando vita ad un dialogo, ad una comunicazione, ad una confidenza, maggiore rispetto a quella che potrebbe derivare da una lunga sequenza di parole. In mezzo a loro un grande, esperto vocalista. Le sillabazioni tipiche della musica indiana. Ed un incontro con la musica occidentale, rappresentata dal chitarrista inglese John McLaughlin, che non dà vita ad una mescolanza, ma ad un qualcosa di unico. Dici Shakti ed è, e solo, Shakti.

Tre dischi avevano pubblicato dal 1975 al ’77 (si erano messi insieme nel ’73), eppure non passarono inosservati. Il Jazz annaspava, il Rock si stava prendendo una pausa di riflessione. La loro musica, al pari del nome, era energia pura, intelligenza, bellezza. Ai veterani del primo gruppo, McLaughlin (1942) e Zakir Hussain (1951), alle tabla, il quale, per chi ne fosse ignaro, ha avuto come padre Alla Rakha (1919-2000), compagno musicale fino alla morte di Ravi Shankar, si sono aggiunti nel 1997 Uppalapu Shrinivas (1969), un virtuoso del mandolino, strumento precedentemente sconosciuto nella musica del Karnataca (India del sud), una sorta di chitarra elettrica, da cui sa estrarre ogni possibile combinazione, ritmica o melodica, nella tradizione Raga e V.Selvaganesh, figlio del percussionista originario del gruppo, T.H. “Vikku” Vinavakram, dando vita a ‘Remember Shakti’. Nel 2000, infine, ha completato l’organico Shankar Mahadevan, vocalista dalla sonorità potente, capace, in una maniera assai sinuosa, di avvicinarsi alle regioni della transe.

Il concerto è scivolato via con rilassatezza. Nessuno sguardo impaziente all’orologio. E già solo questo è una cosa rara, a testimonianza di una magia, un incantesimo, che spalanca la porta alla felicità. Un brano imperdibile : ‘5 + 6’. Cantante e chitarristi sono intenti a contare l’inizio di ogni battuta, mentre Hussain e Selvaganesh intrecciano dapprima un dialogo vocale – il celebre “ taki takata”, nel quale gli indiani si dimostrano maestri insuperabili. E poi un lungo assolo di Selvaganesh con la kanjira, un piccolo tamburo a sonagli monopelle, dal quale sa cavar fuori figurazioni talmente complesse da far pensare che stia suonando un completo drumset. E poi Hussain che già era valente 40 anni fa con i primi Shakti. Adesso fa delle rullate velocissime, quasi accarezzando le pelli, senza nessuna fatica.

Sorprende che verso la fine del concerto un gruppo di persone abbandoni la sala anzitempo: abbonati della stagione, inconsapevoli di che cosa si apprestassero ad ascoltare? C’è il tempo per un bis e poi, i più colpiti dalla forza dei musicisti, a complimentarsi nel camerino, a chiacchierare, a fotografarsi, a chiedere un autografo. Nell’attesa del prossimo concerto, nuovamente irripetibile ed unico, come ogni appuntamento musicale dovrebbe essere.

Foto: Wikimedia

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