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Anonymous e le #OpPedoChat contro i pedofili online

A proposito del ritorno di Anonymous alla battaglia contro la pedopornografia, le #OpPedoChat, si tratta di uno dei temi che prima di altri hanno trasformato il gruppo da pesanti mattacchioni partoriti da 4chan a “vigilatisti”. Nelle interviste per il libro Anonymous – Noi siamo legione, è stato detto che “a noi non interessava far finire in galera i pedofili che prendevamo di mira, volevamo metterli alla berlina sul web in modo che tutti sapessero chi fossero e cosa facevano. Poi sono seguiti i primi arresti e ci siamo quasi stupiti”. Riassorbito il lieve stupore di qualche anno fa, hanno continuato fino al pezzo raccontato di seguito.

Nel 2011 – anno della vera inclusione di Anonymous da parte del Time tra i vip planetari – è stato descritto come la realtà di questo tipo:

Ha cambiato il modo di pensare l’hacking, trasformato in una forma di attivismo sociale [...]. [Anonymous] è stato uno strumento a supporto delle proteste di Occupy Wall Street, per quanto in passato il suo nome si sia legato a incursioni nefaste come quella che quest’anno ha abbattuto la rete della Sony Playstation. Eppure si è calato nell’ambito della giustizia vigilantista, prendendo di mira una massiccia rete di pedopornografia e, pur senza una leadership centrale, la sua reputazione è cresciuta grazie all’impostazione mentale del «ciascuno-può-contribuire». Che i suoi militanti possano davvero minacciare un cartello della droga messicano? Sono realmente in grado di smontare la rete della Sony? Questi sono alcuni dei pericoli insiti in un’organizzazione naturalmente disorganizzata come Anonymous.

E un accenno alla questione narcotraffico è interessante.



Il Messico è stato definito dall’International Press Institute «il Paese più pericoloso del mondo» per chi racconta la realtà e gli affari dei cartelli, che siano giornalisti (la maggior parte delle vittime tra gli operatori dei media) o attivisti digitali. Nel 2011 le vittime sono state centotré: spariscono da casa o dalle redazione e riappaiono gettati da qualche parte, dopo essere stati torturati e ammazzati. In alcuni casi, come quello datato autunno 2011, al collo di una vittima era stato appeso un avvertimento: «Ecco cosa accade a chi scrive e indaga sul narcotraffico. Giornalisti e blogger, siete avvertiti».

E il 15 novembre di quell’anno, Anonymous, firmandosi MrAnonymousguyfawkes, scende in campo con la strana OpCartel e annuncia di aver incluso tra i suoi obiettivi il feroce gruppo dei Los Zetas, fondato in parte da ex appartenenti alle forze speciali dell’esercito. Accusando i suoi uomini di aver fatto sparire un Anonymo messicano a Veracruz (sarà rilasciato il 4 novembre, nonostante i contorni dell’evento siano sempre rimasti sfumati da un alone di incertezza), i legionari del web diffondono questo messaggio video: «Non possiamo difenderci usando le armi, ma possiamo farlo con tutte le informazioni che abbiamo su di loro».

Segue una serie di attacchi ai siti di politici messicani, tra cui quello dell’ex ministro della giustizia dello Stato di Tabasco, Gustavo Rosario, la cui home page viene sostituita con un’altra in cui campeggia la scritta «Gustavo Rosario es Zeta». Si va oltre l’insinuazione.

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