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Ammalati in ospedale per trasfusioni infette: i risarcimenti non arrivano

Epatite, Aids e danni permanenti all'integrità psico-fisica, sono le conseguenze per esser venuti a contatto, tramite trasfusioni o emoderivati infetti, con sangue non controllato dal Servizio sanitario nazionale. Così tantissimi (almeno 120 mila secondo il Ministero della Salute), dopo essersi recati in ospedale per trovare rimedio ad un problema di salute, se ne sono usciti con uno in più. A volte molto più grave. E, giustamente, hanno fatto richiesta di risarcimento.

50mila sono le richieste accolte che hanno portato all'erogazione dell'indennizzo; 6500 persone invece, malate e stanche di lottare in procedimenti giudiziari lenti, hanno optato per la trattiva diretta con il Ministero della Salute, ma da cinque anni a questa parte non sono stati ancora risarciti.



Che l'idea del Ministero non fosse quella di emulare il caso della giovane morta per trasfusione il cui risarcimento arrivò dopo 48 anni, è auspicabile. Nel frattempo però tante richieste sono state analizzate e respinte. L'avvocato che segue il caso delle vittime di sangue infetto, Stefano Bertone, riferisce che, secondo una stima, per la legge n.162 del 2012 non più di 600 richieste verranno accolte. Perché?

I motivi riguardano i paletti posti dalla legge. Secondo Andrea Spinetti del Comitato vittime sangue infetto, "a più di due anni dal termine di presentazione delle domande di adesione alla transazione, il Decreto attuativo del 2012 ha posto che: la transazione non si applica per le trasfusioni avvenute prima del '78, e il diritto cade in prescrizione se la richiesta non è stata fatta entro 5 anni dal riconoscimento del danno biologico. In pratica, lo Stato, non solo non ha controllato fino agli anni '90 il sangue somministrato ai suoi cittadini, che per questo si sono ammalati, ma è arrivato a negare loro il legittimo risarcimento".

La questione però è delicata: molti hanno scoperto di essere stati contagiati ben oltre il limite di prescrizione, non facendo controlli o non manifestando sintomi. Si sono ritrovati con un doppio dolore: la malattia contratta e la constatazione che probabilmente per loro non ci sarà nessun rimborso.

Come riporta anche Il Corriere, l'avvocato Bertone non è intenzionato a mollare, visto che il procedimento transattivo si è tradotto in un nulla di fatto: "Riprenderemo con le cause in tribunale e ricorreremo alla Corte europea dei diritti dell'uomo, perché è stato leso il nostro diritto alla salute, ma anche quello a non essere discriminati".

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