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Alzheimer: 600mila i malati in Italia. “L’uniformità di trattamento più che un ambizione è un diritto del paziente”

Più di mezzo milione di italiani affetti dalla malattia di Alzheimer, un dato destinato a raddoppiare nei prossimi 20 anni con effetti preoccupanti, se si pensa che ad oggi l’assistenza costa 11 miliardi di euro l’anno, in buona parte a carico delle famiglie dei malati.

Questo lo scenario illustrato durante il corso di formazione professionale “Malattia di Alzheimer, cronaca di un’epidemia sociale”, che si è svolto recentemente a Roma.

Una giornata di approfondimento nel corso della quale, tra gli altri, sono intervenuti il presidente di Aifa (agenzia italiana del farmaco), Mario Melazzini, il direttore dell’istituto di neurologia del Gemelli, Paolo Maria Rossini, e il presidente di Aima (associazione italiana Malattia di Alzheimer), Patrizia Spadin.

Di quanto emerso nell’ambito del corso in questione ci si occupa in un articolo pubblicato su superabile.it.

E’ stato, tra l’altro, rilevato che in un Paese come l’Italia, dove “il 22% della popolazione è ultrassessantenne (la malattia colpisce soprattutto dopo i 65 anni) è evidente l’esigenza di cercare nuovi modelli assistenziali”.

L’esigenza di individuare nuovi modelli assistenziali risulta evidente considerando che una recente ricerca svolta da Censis e Aima, rivela che il costo medio annuo per paziente è “pari a 70.587 euro e comprende i costi a carico del servizio sanitario nazionale, quelli sostenuti direttamente sulle famiglie, i costi indiretti come gli oneri di assistenza, i mancati redditi da lavoro dei pazienti.

Di questi ultimi, il 56,6% è seguito da una struttura pubblica, mentre il 38% delle famiglie deve ricorrere a una badante e il resto ai cosiddetti ‘caregiver’, membri della famiglia che si occupano dei malati. Il 40% dei caregiver, pur essendo in età lavorativa è inoltre senza impiego”.

Ha spiegato il presidente dell’associazione italiana Malattia di Alzheimer:

“Abbiamo raccolto i dati per fotografare la situazione italiana: negli ultimi 16-20 anni, per certi versi, la situazione è migliorata, per cui i servizi sanitari sono più puntuali e precisi. Ma i pazienti non trovano ancora sul territorio i servizi che sono necessari a mantenere un equilibrio durante tutto il percorso di malattia. In Italia ci sono 21 sistemi diversi, uno per ogni regione, e quelli virtuosi sono pochi. Sono le regioni del Nord, mentre al Sud c’è il deserto.

Considerato il fatto che i pazienti sono disorientati e hanno bisogno di punti di riferimento precisi, è chiaro che pensare a un pellegrinaggio verso altre regioni è un handicap. L’uniformità di trattamento più che un ambizione è un diritto del paziente”.

Parallelo a quello dell’assistenza, c’è il discorso sulla ricerca, che potrebbe avere un ruolo cruciale poichè “la scoperta di un farmaco – hanno spiegato ancora gli esperti – capace di ritardare di soli 5 anni lo stato di perdita dell’autosufficienza del paziente, avrebbe un impatto significativo sui costi sociali e sanitari.

Ma nonostante siano in corso molte sperimentazioni e siano stati fatti significativi passi avanti nella ricerca farmacologica, ancora non si ha una cura in grado di modificare la storia naturale della malattia, arrestando o rallentando il processo degenerativo”.

Gli sviluppi più recenti, ha quindi commentato Paolo Maria Rossini, direttore dell’istituto di neurologia del policlinico Gemelli di Roma, riguardano quello che viene ritenuto “il ‘killer’ principale e causa della malattia, una sostanza definita beta-amiloide, che si accumula in placche all’interno dei nostri malati e provoca una cascata di meccanismi che danno, alla fine, la morte dei neuroni”.

Per quanto riguarda l’assistenza, emergono ancora una volta le profonde diversità di trattamento che si verificano all’interno del territorio nazionale. Non è certo una novità, purtroppo.

La stessa situazione si verifica per molte altre malattie. Ma è necessario, comunque, ribadire ancora una volta che tale situazione va modificata, radicalmente.

Infatti non si può non convenire con l’affermazione del presidente dell’Aima, secondo la quale “L’uniformità di trattamento più che un ambizione è un diritto del paziente”.

 

Foto: Hey Paul Studio/Flickr

Questo articolo è stato pubblicato qui

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