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Aldrovandi e Polizia: e se anche l’Argentina avesse qualcosa da insegnarci?

Per motivi di ricerca, nelle ultime settimane mi sono avvicinato alla Segreteria per i diritti umani del governo argentino. Dopo la svolta kirchnerista sulla sanzione dei crimini della dittatura e un complicato (e lungi dal concludersi) percorso di epurazione dei corpi di polizia violenti e corrotti in epoca neoliberale, ora l’enfasi, soprattutto nella formazione dei quadri delle forze dell’ordine, è sui migranti, sul rispetto dei fermati appartenenti alle classi popolari (fin qui discriminati), sui presunti autori di piccoli reati.

Ciò si esplicita, come detto, soprattutto in un’intensa attività di formazione.

È un percorso ben lungi dall’essere concluso, ma vivo e importante, e sicuramente altri governi di diverso colore dall’attuale avrebbero minor sensibilità al tema ma, nell’osservare da lontano la vergogna di un sindacato di polizia che applaude ai massacratori di Federico Aldrovandi, o i puerili argomenti del rifiuto dell’identificazione degli agenti, non posso non pensare a quanto la Storia stia lasciando indietro il paese di Beccaria.

Fino a ieri, infatti, una determinata enfasi benpensante, a livelli ben diversi, da Bush alle migliori ONG, pensavano che i diritti umani fossero qualcosa di assodato nel Nord del mondo e che questi dovessero essere esportati, insegnati, quando non imposti, al resto del pianeta. Il paternalismo dell’immagine non è casuale ed è tutto maledettamente più complicato. 

Questo articolo è stato pubblicato qui

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