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Albania, ultima chiamata? L’Italia dimentica la sua “sorella minore”

I fratelli maggiori si prendono cura di quelli più piccoli: funziona così nelle famiglie e anche a livello di relazioni internazionali. 

A volte è semplice realpolitik e altre volte è umanitarismo spassionato dato da parentele culturali e civilizzazionali, ma in entrambi i casi i risultati sono sempre e comunque due: colui che ha ricevuto l’aiuto tende (giustamente) a mitizzare l’accaduto e colui che l’ha dato tende (altrettanto giustamente) a strumentalizzarlo.

Che si tratti di umanitarismo o che si tratti di calcolo politico non conta: gli aiuti rientreranno sempre nella sfera delle logiche basate sul “do ut des”, cioè io “ti aiuto oggi e tu mi aiuti domani”, perciò la diplomazia umanitaria riveste un ruolo-chiave nelle politiche estere degli stati più aquilini.

Sull’aiuto si costruiscono miti e memorie collettive che si riveleranno funzionali al miglioramento dei rapporti bilaterali, perciò è importante essere presenti nel momento del bisogno. Questo è il motivo per cui la Cina ha messo in piedi la campagna di diplomazia sanitaria più imponente del pianeta sin dai primordi della pandemia, seguita a ruota da Turchia e Russia.

La Turchia ha inviato aiuti umanitari e medici volontari ai “fratelli turchici” e di fede, inondando di mascherine e apparecchiatura ospedaliera ogni terra indirettamente o direttamente appartenuta al defunto impero ottomano. La Russia ha inviato aiuti umanitari e medici volontari alle nazioni appartenenti al mondo russo o ad esso vicine, in primis Bielorussia, Moldavia e Serbia.

Ma la diplomazia sanitaria non è stata una prerogativa esclusiva delle grandi potenze. Al contrario, la pandemia ha mostrato e dimostrato che grandezza e lungimiranza non sempre coincidono – vedasi i casi di Stati Uniti, Germania e Francia – e che le sorprese possono provenire dai teatri più inaspettati. Gli esempi, a quest’ultimo proposito, sono innumerevoli:

  • La Romania, nonostante stia vivendo una delle situazioni sanitarie peggiori d’Europa, ha aiutato la sorella Moldavia sin dagli albori della pandemia a mezzo di spedizioni regolari di aiuti umanitari e oggi sta condividendo con essa i propri (preziosi) carichi di vaccini
  • Kazakistan e Uzbekistan, oltre ad essersi aiutati reciprocamente, hanno trovato il modo di realizzare un meccanismo di diplomazia concertata per aiutare l’intera Asia centrale postsovietica
  • La Serbia di Aleksandar Vucic è riuscita nell’impossibile: trasformarsi da teatro della guerra degli aiuti umanitari a protagonista di una peculiare diplomazia sanitaria avente come obiettivo i Balcani occidentali

Romania, Serbia, Uzbekistan e Kazakistan, economie in via di sviluppo che, nonostante il dramma della pandemia, hanno trovato tempo, mezzi e risorse per aiutare i propri vicini e/o i propri fratelli minori, mettendo da parte i possibili antagonismi ed egoismi per un fine superiore: il benessere collettivo. I loro sforzi verranno ampiamente ripagati e ricompensati domani, ad emergenza sanitaria rientrata, quando assisteranno ad un miglioramento riguardevole della loro immagine, del loro prestigio e della loro influenza in quei Paesi che da loro hanno ricevuto aiuto nel momento del bisogno.

E l’Italia? Preda di divisioni intestine, dilettantismo allo sbaraglio e totale miopia strategica, anzi cecità, l’Italia non ha saputo cogliere l’attimo e ha ricevuto quando avrebbe dovuto dare. Sì, il fratello maggiore è stato aiutato dai suoi fratelli minori – come Albania e Somalia – e ha ricambiato l’aiuto ricevuto in maniera ugualmente proporzionata – medico per medico, mascherina per mascherina – senza pensare all’importanza di formulare una propria diplomazia sanitaria. Il vuoto non è rimasto tale a lungo: ci ha pensato la Turchia ad arrivare laddove non siamo arrivati noi.

Ed è in Albania, il cuore pulsante dell’Albanosfera – una realtà micro-civilizzazionale in ascesa da cui dipende il fato dei Balcani in quanto avvolgente il pivotale Kosovo ed oramai estesa alla Macedonia del Nord –, che la Turchia ha puntato in maniera particolare.

Aiuti umanitari a parte, il sistema ospedaliero turco ha accolto pazienti dall’Albania, dalla Turchia sono stati inviati medici volontari per assistere gli omologhi albanesi ed anche esperti e consulenti scientifici per supportare il governo Rama nella formulazione di un piano antipandemico. Nei giorni scorsi, infine, il colpo grosso: il primo ministro albanese, Edi Rama, dopo un soggiorno ad Ankara, torna in patria con un carico di 192mila dosi del vaccino prodotto da Sinovac.

Quanto basta per iniziare la campagna di immunizzazione di massa, ma entro l’estate è programmato l’arrivo di un milione di dosi – utili a vaccinare più di un sesto della popolazione – e non è dato sapere cos’altro ha in serbo la Sublime Porta a Tirana. Come è stato possibile? Abbandonata dall’Italia e trascurata dall’Unione Europea, l’Albania ha fatto l’unica cosa sensata: rivolgersi alla Turchia, la quale ha interceduto presso la Cina per finalizzare in tempi record un accordo di approvvigionamento. Semplice, veloce, geniale. Noi, invece, più o meno negli stessi giorni, finalizzavamo con l’Albania un “importante” accordo in materia di patenti: riconoscimento della patente di guida albanese in Italia. Roma e Ankara: due giocatori che, è evidente, appartengono a due realtà parallele, o meglio a due universi differenti. La posterità giudicherà sull’uno e sull’altro, decretando il vincitore.

E v’è spazio anche per discutere del Kosovo. Il fratello minore dell’Albania è l’unico Paese d’Europa a non aver ancora siglato accordi di approvvigionamento e finora ha ricevuto un carico simbolico di 24mila dosi nell’ambito del programma Covax. Non è da escludere che Tirana destinerà una parte del proprio carico Sinovac a Pristina, ma neanche un’entrata in scena di Ankara. E non è da escludere che l’Italia, anche in questo caso, sarà un fantasma.

In sintesi, internamente divisi ed esternamente privi di una visione e di una forma mentis, stiamo perdendo tempo e opportunità, permettendo ad altri di colmare i vuoti da noi colpevolmente lasciati. Trattasi di una situazione insostenibile che, se non risolta, potrà concludersi in una maniera soltanto: l’estinzione dello spazio di prosperità italico, del quale altre potenze – più energiche, lungimiranti e vigorose – assumeranno il controllo. Roma è avvisata: questa è, forse, l’ultima chiamata; che qualcuno risponda.

 

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