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Abbiamo detto sì al lavoro precario, saltuario, sottopagato

#iosonopovero perché mi hanno obbligato a dire sì quando sarebbe stato giusto dire no”, è questa la frase scelta da Marina Chimenti per la nostra campagna. Marina è dipendente del call center Almaviva di Roma, nella cui sede di Palermo si è manifestato il 29 gennaio. Le sue parole sono di una drammatica attualità.

Ho un lavoro, non pago l’affitto perché ho una casa, a volte con qualche sacrificio vado anche dal dentista. Ogni tanto compro qualcosa. E nonostante ciò sono povera. Ho lavorato tutta la vita per ritrovarmi a 57 anni e dover rinunciare al ristorante ogni tanto, ai viaggi d’estate. A quei piccoli lussi che arrivata alla mia età una persona pensa di meritarsi dopo aver lavorato una vita.

Non posso più fare neanche regali ai miei nipoti. Controllo con attenzione la voce "uscite" sul mio estratto conto, cercando di limitarle. Sono costantemente preoccupata per il mio futuro, considerando che non avrò mai una pensione perché su 20 anni del mio lavoro 14 sono stati da precaria.

Ebbene, nessuna di queste cose mi ha fatto sentire realmente povera. Sono povera per un altro motivo: perché guardandomi intorno mi accorgo di vivere un’epoca in cui sempre più spesso si è obbligati a dire sì anche quando sarebbe giusto dire no e difendere quel ‘no’ fino in fondo.

Vivo un’epoca in cui non ci è più data la possibilità di contestare, in cui abbiamo perso la forza di di fare opposizione, di dire no ad accordi al ribasso che sono dei compromessi pesanti, come il durissimo accordo in Almaviva. Tempi in cui ci è stata tolta la possibilità di rivendicare diritti fondamentali, tempi in cui la mente è più povera e con lei la capacita di analisi, e mi accorgo che a tutto questo ci siamo adeguati con rassegnazione.

Essere poveri è non avere una visione ampia: non intravedere un progetto, un futuro, accettare la cassa integrazione, i contratti di solidarietà, i licenziamenti, gli accordi capestro, le donne licenziate perché incinta, i nostri figli massacrati dalla precarietà.

Accontentarsi dell’immediato. Sperare che non venga “peggio” e dire sì al lavoro precario, saltuario, sottopagato, al lavoro nero. Tutti quei soprusi a cui assisto oggi nel mondo del lavoro e nelle vite di tutti noi, dove ormai poche regole vengono rispettate. Dovere dire sì perché non si ha un’alternativa. È questo che ci rende tutti piú poveri.

 

Quante volte siete stati obbligati ad accettare un’ingiustizia? SCRIVICI

di Marina Chimenti

Questo articolo è stato pubblicato qui

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