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11 settembre 2001. Che cosa è cambiato, che cosa rimane

Oh my God! E’ il grido che più di ogni altro rimane nella memoria di chi quel giorno ha visto e rivisto migliaia di volte riproposto dalle televisioni del mondo, l’aereo che poco dopo le 9 del mattino s’infila liscio come nel burro, nella torre ovest del World Trade Center nella Lower Manhattan a New York. 

E’ il grido di chi quella mattina, incredulo di fronte a un evento che sembrava un film del terrore, non voleva, non poteva staccarsene, paralizzato dalla paura e dall’impotenza.

Poi altre immagini, altre foto, altre notizie sono arrivate quel giorno nelle redazioni, gli attacchi aerei al Pentagono a Washington, il sequestro di un aereo civile in Virginia; ma l’impatto di quel grido e di quella prima ripresa televisiva (la CNN fu la prima ad arrivare sul posto) rimane come un presagio e preannuncia un cambiamento radicale del sistema di vita civile e politica degli Usa negli anni a venire.
 
Da allora sono passati otto anni; pochi, osserva Vittorio Zucconi oggi su Repubblica, per chi ha superato la quarantina; un secolo per i bimbi nati dopo l’11 settembre 2001 che sapranno di quel giorno soltanto dai libri di Storia.
 
Ma per chi ha visto e ricorda, da allora gli Usa hanno rivoluzionato se stessi: la paura ha rinsaldato gli affetti, la popolazione si è ricompattata in un fronte comune di pietà e solidarietà al di là di ogni barriera ideologica, etnica e religiosa.
Tuttavia alcuni scogli rimangono tuttora da superare.
 
Per esempio la minaccia di Al Qaeda: se anche, come si dice da più parti, Osama Bin Laden ha per così dire le unghie spuntate, restano pur sempre l’Afganistan e i Talebani, una spina nel fianco dell’attuale Presidente Obama.
 
Gli attacchi alle truppe Nato che si sono intensificati in questi giorni, non sembrano volersi acquietare, anzi. La quasi-vittoria elettorale del Presidente Karzai sembra averli ulteriormente rinvigoriti. E mentre negli Usa sono sempre più numerose le “colombe” che non ne possono piu’ delle guerre, Barack Obama sembra risoluto e proseguire in un conflitto che lascia poche speranze di vittoria.
Dunque se è vero che il Presidente succeduto al “guerriero” George W. Bush ha esordito in una politica della mano tesa contro chi mostra il pugno, per esempio Ahmadinejad, è anche assodato che la politica della distensione ha i suoi avversari anche in patria.
 
Per non parlare della crisi economica che in questi anni ha reso gli americani o molto più ricchi o molto più poveri, allargando il gap tra chi non possiede più nemmeno una casa e chi invece si è per così dire licenziato con un bonus ultramiliardario. Per Obama questa crisi globale è un altro 11 settembre, quasi più insidioso, perché un sistema basato sul credito ad oltranza senza coperture, non può cambiare tanto in fretta e risolversi grazie a misure improvvisate e aleatorie.
 
Il Presidente Obama ha si affrontato i temi che si era prefisso al momento del suo insediamento, ad esempio il sistema scolastico (diritto all’istruzione per tutti), l’inquinamento del globo, la politica energetica. Ma l’ostacolo maggiore, che è la riforma del sistema sanitario (assistenza per tutti) deve ancora una volta fare i conti con la crisi economica del Paese.
 
Deve soprattutto convincere quei 16 milioni di americani che hanno un’assicurazione a copertura parziale, in parte a rinunciarvi per favorire quei 46 milioni che ne sono completamente privi. Non sarà un’impresa tanto facile.



Qui uno speciale di Le Monde che spiega quale sia l’attuale situazione di Al Qaeda

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