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Verso una Scozia indipendente?

Nel paese dei kilt e delle cornamuse si avvicina la data decisiva. Il prossimo 18 di settembre gli scozzesi dovranno votare per il referendum sull'indipendenza e scegliere se continuare a far parte del Regno Unito o se diventare una nazione completamente indipendente.

Il voto è stato promosso dallo Scottish National Party, all'indomani della vittoria schiacciante ottenuta alle elezioni del 2011. Il leader del partito, nonché attuale Primo Minitro Scozzese, Alex Salmond, è convinto che dopo 300 anni di unione con i cugini britannici sia giunto il momento di intraprendere una strada autonoma e liberarsi dai legacci imposti dal governo del Regno Unito, di base a Londra.

Il primo Ministro britannico David Cameron si oppone al progetto e indica nel Regno Unito un modello di successo, a livello globale, di unione politica e sociale. La posta in gioco non è solo politica, ovviamente, e la partita si gioca intorno ad alcuni punti cardine.

Prima di tutto il petrolio ed il gas dei giacimenti nel Mare del Nord, di cui la scozia detiene una quota importante. Secondo i supporter dell'indipendenza, le riserve permetterebbero di accantonare un miliardo di sterline all'anno da destinare, nei prossimi 3 decenni, alla creazione di un fondo di sicurezza che grantirebbe l'avvenire del paese sul medio periodo. I sostenitori del “No” (all'indipendenza) non cosiderano invece saggio fare affidamento, per il futuro della Scozia, su risorse energetiche destinate ad esaurirsi in tempi tutto sommato brevi. Inoltre, la produzione è in calo e, con il passare del tempo, le difficoltà tecniche delle operazioni estrattive sono destinate ad aumentare; Per il fronte del “No” la permanenza nel Regno Unito offrirebbe maggiori garanzie nel momento in cui si rendesse necessario operare ulteriori investimenti tenologici per sfruttare a pieno il giacimento.

Anche la questione della valuta è centrale nel dibattito pubblico. Il fronte del “Si” vorrebbe mantenere un'unione monetaria formale con il resto del Regno Unito sotto il cappello della sterlina. I tre maggiori partiti britannici (Conservatori, Laburisti e Social Democratici) non la pensano allo stesso modo e temono che un'unione monetria possa rivelarsi una scelta densa di insidie, come sottolineato da un rapporto diffuso recentemente dal Tesoro.

Per convincere il governo centrale a negoziare, il premier Salmond ha dichiarato che, in caso di mancato accordo sull'unione monetaria, la Scozia potrebbe rifiutare di prendersi carico della sua quota di debito pubblico britannico. La minaccia è però ritenuta inapplicabile sia da parte del governo di Londra che da parte dei rapprsentanti della campagna “Better Togheter”, che si oppongono alla proposta di indipendenza.

Si prendono dunque in esame soluzioni alternative, come l'ingresso nell'area euro o la creazione di una moneta scozzese indipendente. Inizialmente lo Scottish National Party aveva espresso la sua contrarietà a tali prospettive, privilegiando piuttosto la prospettiva di una fase transitoria in cui prevedere l'utilizzo della sterlina anche in assenza di accordi formali. In un recente dibattito televisivo che lo vedeva contrapposto al portavoce della campagna del no, Alistar Darling, il premier Salmond ha però aperto a possibili piani di compromesso, come la creazione di una moneta scozzese indipendente o agganciata nel cambio alla Sterlina; ha però anche ribadito la sua intenzione di spingere sul pedale dell'unione finanziaria, agitando nuovamente lo spettro delle quote di debito pubblico che, in caso di rifiuto, finirebbero tutte sulle spalle dei contribuenti del Regno Unito. Lo sfidante Darling non ha mancato di sottolineare che tale minaccia potrebbe avere conseguenze nefaste sul fronte finanziario per la Scozia indipendente, poiché potrebbe tradursi in un default tecnico e compromettere l'affidabilità del paese agli occhi degli investitori.

Il terzo elemento del dibattito, molto sentito dagli elettori, riguarda la sanità pubblica ed il welfare. Gli indipendentisti promettono il mantenimento dell'attuale sistema pubblico di tutele, in risposta alla paventata privatizzazione del sistema sanitario britannico. Gli oppositori temono che una Scozia indipendente non avrebbe comunque la forza per garantire uno stato sociale pubblico ed efficiente ed accusano il fronte del sì di fare promesse che non è in grado di mantenere.

Mentre il dibattito sui temi chiave prosegue e si intensifica nelle ultime settimane di campagna referendaria, il fronte del “No” sembra conservare un certo margine di vantaggio nei sondaggi. La partita però non è affatto scontata e le percentuali del “Si”, in alcune rilevazioni, sembrano indicare un trend ascendente. Nelle cifre pubblicate dal poll tracker della BBC il "no" è in testa con il 48%, il "sì" insegue con il 42% e un dieci per cento degli elettori si dichiara ancora indeciso.

Anche le regole del voto giocano un ruolo importante. Gli scozzesi che si trovano fuori del paese, circa 800mila in tutto, non potranno partecipare al voto, mentre tutti i cittadini dell'Unione Europea e del Commonwealth residenti in Scozia con regolare permesso, circa 400mila, potranno esprimere la propria preferenza. Difficile capire come voteranno e se voteranno i non scozzesi, ma se il distacco tra i due schieramenti dovesse ulteriormente ridursi il loro contributo potrebbe diventare centrale.

L'esito del referendum si gioca dunque su cifre incerte ed in continuo mutamento. Qualunque sarà il risultato è probabile che la Scozia di domani godrà di maggiore autonomia. Se dovesse vincere il “Si” diventerebbe in breve tempo un paese indipendente, ma peserebbe l'incombenza di lunghe trattative sul fronte monetario e del debito pubblico. Nel caso di una vittoria del “No”, del resto, è probabile che il governo centrale di Londra dovrà acconsentire ad un maggiore trasferimento di poteri e di risorse verso il parlamento scozzese, benché nella cornice di un Regno Unito ancora integro.

Foto: fw42, Flickr

 

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