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Un sabato di ordinaria precarietà

Una quindicina d'anni fa si cominciò ad introdurre in Italia la precarizzazione dei rapporti di lavoro. Negli anni tutti hanno dato una mano, da destra a sinistra, peggiorando ciascuno un po' lo stato delle garanzie e dei diritti dei lavoratori in questo paese. Che solo negli anni '70 aveva raggiunto un livello appena sufficiente a non sfigurare accanto a quello garantito dalle socialdemocrazie europee.

Il massacro è stato relativamente lento, ma inesorabile, tanto che oggi metà della forza lavoro è di fatto precarizzata. A peggiorare le cose, in questa marcia ispirata al "liberismo" fallimentari dei grandi ladri, si è aggiunta una variabile tipicamente italiana, per la quale alla precarizzazione dei rapporti di lavoro si è aggiunta una drastica riduzione delle retribuzione per i precari.

Che devono offrire "flessibilità" e nonostante questo gravoso impegno, sono pagati di meno. Questo è accaduto perché insieme al precariato si è istituzionalizzata la mediazione privata del lavoro, creando e retribuendo con i soldi dei lavoratori vere e proprie multinazionali del caporalato. Ma a questo si deve aggiungere che la generalizzata riduzione dei contributi per le figure precarie, che produce un risparmio per i datori di lavoro, ma che ha generato un nuovo assetto contributivo che impedisce ai lavoratori precari di maturare una pensione sufficiente a sopravvivere. Nemmeno lavorando senza interruzioni per il massimo degli anni, riusciranno mai ad avere una pensione che non assomigli a un'elemosina.

Per questo tanti di quelli che sono parte delle generazioni precarie oggi scendono in piazza in numerose città al grido di: "Il nostro tempo è adesso". Sono passati molti anni da quando la coscienza di un disegno del genere produsse le prime forme di aggregazione e di contrasto all'avanzare del precariato. Piccoli gruppi di persone, poi qualche migliaio in tutto il paese, per anni, nell'indifferenza generale. Sono così nate dal basso esperienze come San Precario e percorsi come la Mayday, che hanno portato poi all'elaborazione di nuove rivendicazioni, la più importante delle quali è l'istituzione del reddito di cittadinanza. L'unica soluzione in grado di riequilibrare una distribuzione della ricchezza scellerata, che rischia di creare un impoverimento generale della società, senza precedenti nella storia moderna del paese.



Oggi le manifestazioni dei precari, a Roma e in altre città, saranno prevedibilmente partecipatissime e altrettanto prevedibilmente saranno ignorate da politici e media. Non deve stupire, i media campano sullo sfruttamento selvaggio dei precari e i politici hanno quasi tutti contribuito al disastro con azioni od omissioni. Troppi, quasi tutti hanno taciuto anche quando era ben chiaro che si mandavano al massacro milioni d'italiani. Anche peggio i sindacati, che hanno ignorato l'esistenza dei precari difficilmente tesserabili per schierarsi a difesa di quelli che rimanevano tra pensionati e dipendenti, contribuendo pure loro allo stimolare una guerra tra poveri, lavoratori, a tutto vantaggio del loro sfruttamento.

italia

Due sono i dati importanti e rivelatori da tenere presenti: quello relativo alla forbice dei redditi e quello che stima la mobilità sociale. L'ampliamento della forbice e il crollo della mobilità sociale testimoniano l'esistenza di un errore di sistema che premia indebitamente alcune elite e impoverisce inesorabilmente il resto dei cittadini.

In costanza di un tale assetto, è pericolosamente utopistico sperare in un'iniziativa riformatrice o riformista delle élite, crederli capaci o disponibili a rinunciare a privilegi del genere, che in passato hanno dimostrato di volere con un'intensità prossima alla violenza. Sarebbe un'eccezione storica, ancora di più se si verificasse in un paese come il nostro, nel quale l'irresponsabilità e l'impunità delle classi dirigenti è ormai leggendaria, anche al netto degli show di Berlusconi.

Il cammino dei precari non sarà compiuto fino a che questi equilibri non saranno sovvertiti e questi assetti rivoluzionati, fino ad allora i precari non avranno potere contrattuale e saranno destinati ad essere blanditi e derisi, anche se ormai si può parlare dell'esistenza di una vera e propria classe precaria di dimensioni imponenti. Per giungere a questo risultato, dopo le mobilitazioni bisognerà trovare le forze per sostenere un conflitto necessariamente aspro con l'elite schierata a difesa dello sfruttamento dei lavoratori. Le azioni "dal basso" devono arrivare a colpire in alto, pena la loro riduzione a modeste manifestazioni consolatorie.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di Renzo Riva (---.---.---.8) 11 aprile 2011 17:03
    Renzo Riva
    .
    Faceva notare ieri Giorgio Dell’Arti nella rubrica "ALTRI MONDI" della Gazzetta dello Sport che c’è un settore che dal 2007 al 2010 ha avuto...

    Sa che c’è un comparto, in Italia, che ha registrato un boom dell’occupazione,
    +40%(2010 sul 2007)? E sa che comparto è?
    Quello dei lavoratori stranieri.


    Lunedì, 11 Aprile 2011

    10/4/2011 -

    Ma il problema dei precari si risolve con il posto fisso?

    Parecchie migliaia di precari hanno sfilato ieri in 47 città italiane. Magliette gialle col punto esclamativo, uno slogan assai azzeccato («Il nostro tempo è adesso» ), incidenti di poco rilievo a Padova e Napoli, quelli dell’opposizione tutti della partita. C’erano Bersani, la Bindi, il segretario della Cgil Susanna Camusso, Nicky Vendola, Damiano, le bandiere dell’Idv e quelle del Codacons. A Roma il Popolo Viola ha srotolato un tricolore di 60 metri. 

    Succederà qualcosa? 

    No. Le manifestazioni erano politiche e vanno lette come un momento della lotta a Berlusconi. Servono a ricordare il problema, che è sostanzialmente questo: l’Italia è un paese di vecchi, strutturato per tenere il più possibile alla larga i giovani, cioè per non favorire il ricambio. Quelli che possono scappano all’estero. Dati della Cgia di Mestre mostrano, per esempio, che il precariato è il 56%di tutta la forza lavoro meridionale (Campania, Calabria, Puglia, Basilicata, Sicilia e Sardegna) e si parla – immagino – del precariato misurabile, perché poi al Sud imperversano lavoro nero e evasione fiscale. Un sistema dove tutto si tiene. I cortei di ieri hanno inalberato cartelli che non si possono non condividere. 

    Per esempio? 

    Soprattutto questo: «Basta privilegi, basta corruzione» . Divertente anche il cartello issato da un giornalista: «4 euro a pezzo, vergogna gruppo Espresso» . Il gruppo Espresso è quello che possiede Repubblica, il giornale schierato senza se e senza ma con i precari e contro Berlusconi. Non ho letto, però, neanche uno slogan contro le banche, le vere responsabili della crisi in cui ci troviamo e delle spaventose ricchezze accumulate da alcuni a danno di una massa di cittadini in tutto il mondo. L’aria generale – che si ricava dagli slogan e dai discorsi – è poi tremendamente semplificatrice. Si finge di ignorare che il padronato – cattivo per definizione – ha indotto i vari governi di destra e di sinistra a introdurre tutta una serie di contratti particolari per difendersi da un sistema rigidissimo e molto costoso. Una madre ha inalberato un cartello in cui racconta di suo figlio, ricercatore laureato con 110 e lode, che è stato costretto a fuggire a Londra dove gli dànno, per il suo lavoro, 1.500 euro al mese, mentre la paga media di un precario (dati Cgia) è di 1.096 euro. Però a Londra o in America, nonostante la crisi, si passa da un luogo di lavoro all’altro con notevole facilità, cioè il sistema è flessibile. Mentre la tendenza da noi è acchiappare un posto per sistemarsi a vita e che non se ne parli più. Sto semplificando anch’io, naturalmente, e ci sono migliaia di casi che gridano vendetta. D’altra parte, a semplificazione non si può rispondere che con una semplificazione.

    Quale sarebbe la soluzione? 

    Non quella che si capisce dai discorsi della Camusso e di Cesare Damiano. Per esempio, Damiano: «Di fronte al dilagare del lavoro precario, tornano alla carica i cantori del superamento dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori o della modifica dell’articolo 41 della Costituzione, come se liberare il lavoro e l’impresa da vincoli e protezioni sociali rappresentasse la soluzione del problema (...) Quella che va combattuta è la persistente teoria, figlia di quel neoliberismo che ci ha condotti all’attuale disastrosa situazione economica e sociale, che eleva a dio assoluto il mercato» . Ma il mercato esiste, purtroppo, e non è eliminabile. Le racconto un caso che rappresenta il problema in tutta la sua drammaticità. 

    Sentiamo. 

    Alle Officine Automobilistiche di Grugliasco, dopo due anni di cassa e un passaggio al tribunale fallimentare, la Fiat ha proposto un investimento di 500 milioni e la commessa per la nuova Maserati. Contropartita: un accordo modello Mirafiori. In fabbrica il 70%degli operai è iscritto alla Fiom e la Fiom ha detto di no. La Fiat, se non cambia qualcosa, andrà a costruire le Maserati da un’altra parte.

    Che esempio è? 

    Voglio solo dire che ci vuole una presa d’atto condivisa della situazione generale. Condivisa da tutti: governo, padroni e sindacati. Gli Stati Uniti si apprestano a tagliare 80 miliardi di spesa pubblica, il Portogallo, in cambio di 80 miliardi di euro, sarà commissariato. La Spagna e le banche tedesche sono sull’orlo del tracollo. Il Terzo Mondo ci fa una concorrenza spietata. Che senso ha, in questa situazione, attaccare la riforma Gelmini e fingere di non sapere che la vecchia università era una vergogna, e che la gran massa dei laureati prodotti dal sistema precedente sa fare poco o niente? Sa che c’è un comparto, in Italia, che ha registrato un boom dell’occupazione, +40%(2010 sul 2007)? E sa che comparto è? Quello dei lavoratori stranieri. Gli slogan sono una bella cosa, ma non portano da nessuna parte.

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