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Un giro a Gerusalemme

Gerusalemme durante il boats affaire è calma. Gli israeliani controllano tutto, i palestinesi cercano di sopravvivere, le Nazioni Unite banchettano.

Un giro a Gerusalemme

Tutte uguali, nuove o antiche, le case di pietra chiara di Gerusalemme. Un gran colpo d’occhio che sembra dare un segnale d’ordine, purtroppo solo apparente. Le pietre vengono dalla West Bank, chiusa da un muro (facilmente valicabile) e da incongrui posti di frontiera. Anche per andare a Betlemme bisogna fare un lungo giro perchè, a discrezione, le guardie di frontiera bloccano i taxisti, spesso inferociti. Sulla città galleggia un dirigibile per controllare le funzioni religiose del venerdì musulmano. Nelle moschee possono entrare solo gli over 50 per evitare pericolosi assembramenti. Sotto l’immenso pianoro del Monte del Tempio (Haram Ash Sharif) dove i musulmani pregano, gli ebrei posano il capo e biglietti di desideri fra le enormi e antiche pietre del Muro del Pianto. Intorno chiese ortodosse, monachi francescani, muezzin, che intonano inni vicino al Santo Sepolcro, un miscuglio di religioni e di sette. La gente comune, ebrei e arabi, fanno compere nell’elegante e laico Mall di Marmilla, sicuramente stanchi di secoli di scontri e insicurezza.

Come cugini litigiosi ebrei e arabi (la stirpe di Abramo), non riescono a convivere e a prosperare in questa terra. Negli ultimi 60 anni poco sembra essere cambiato. I palestinesi dei Territori non hanno nulla da perdere (lavoro, prospettive di vita) e sono incazzati con il mondo; gli israeliani vivono in un continuo assedio, impauriti e, quindi, incapaci di relazionarsi con i vicini. Anche qui le Nazioni Unite sfilano con i gipponi bianchi da decenni, tutti buttano soldi in Palestina ma la situazione economica nei Territori è precaria ed è una delle cause delle tensioni. In questi giorni a Betlemme conferenza dei donatori per stanziare un altro miliardo di dollari; a Gerusalemme incontro internazionale di perdigiorno mondiali per analizzare le conseguenze della guerra sui bambini. Queste attività non migliorano la vita oltre il muro che, anzi, è in continuo peggioramento. Il lavoro non esiste, la gente ciondola nelle strade senza prospettive, specie i giovani. A Gaza, sottoposta da embargo da tre anni, un abitanti su cinque vive di aiuti internazionali e gli abitanti sono 1.400.000. Fiumi di soldi spesi, in teoria, per creare condizioni vita accettabili per i palestinesi e togliere acqua agli estremisti e ai disperati.

Ma, dice la gente, che la comunità internazionale, come ovunque nel mondo, ha aiutato solo i capoccioni politici: la cricca di Arafat (la moglie se la spassa a Parigi) e adesso quella di Abu Mazel (due figli controllano le principali industrie nei territori) e, anche, Hamas fu finanziata dagli israeliani per premere nelle trattative con l’OLP. Non sorprende che la pace non faccia comodo a chi prospera sulle tensioni e la povertà. Musulmani e ebrei di Gerusalemme riescono, però, a intravedere la luce oltre il tunnel. Immaginano che turismo, industrie e commerci possano rendere la gente di qua e al di là del muro più prospera, più integrata. Non servono strateghi internazionali per capire che se si ha qualcosa da perdere (casa, lavoro, futuro dei figli) magari si cerca più la pace che la guerra. Lo dicono i taxisti parlando dei palestinesi dei Territori.

La gente comune che ho incontrato, ebrei e arabi, o, come dicono alcuni arabi ebrei e arabi musulmani, vorrebbero che almeno i propri figli, che magari studiano nella stessa scuola, possano costruire il proprio futuro in pace. Gerusalemme è, ora, tranquilla, contrariamente ad altri paesi musulmani e le manifestazioni europee. L’affaire delle navi dei pacifisti non ha provocato tensioni. Dal mio punto di vista personale questi sembra che m’inseguano, quest’inverno mi hanno bloccato il Cairo e adesso rischiato di provocarmi problemi in Israele.

Come in tutte le storie (d’amore, di vita, di politica) la verità non è mai agli estremi. Sicuramente, ancora una volta, Benjamin Netanyahu, ha fatto la figura dello scemo, un opinione condivisa dai musulmani e dagli ebrei di Gerusalemme (e del resto del paese). Lì in mezzo al mare qualcuno ha dato via di testa e il Governo, invece di chiedere scusa ed aprire un inchiesta, ha difeso come un mulo qualche militare impazzito. C’è da dire che cercare di forzare il blocco di Gaza (giusto o ingiusto che sia) non è una grande dimostrazione di pacifismo o di cercare di ridurre le tensioni. Aleggia, magari pensando male, la voglia di pubblicità di questa organizzazione (Free Gaza Movement) nata da una strana donna americana e, oggi, finanziata da una associazione turca religiosa (IHH). Racconta l’International Herald Tribune, che nel palazzone al centro d’Instanbul i capi Omar Faruk e Yardim Vakfi festeggiavano l’azione israeliana “ We became famous, we are very thankful to the israeli authorities”. Da dove arrivano i soldi per finanziare l’acquisto di navi non è chiaro. I giornali israeliani hanno tirato fuori collegamenti con la Jihad islamica, rapporti dell’intelligence (?) di vari paesi occidentali, e scritto che su una delle navi (Mavi Marmara) c’era un gruppetto di delinquenti che potrebbe aver reagito con la violenza all’ arrembaggio dei militari israeliani. Tutto da verificare. Certo è che le conseguenze di questo scemenza sono gravi per lo stato israeliano. I turchi unico paese musulmano che da secoli fanno da ponte con gli ebrei, sono inferociti. Un periodo di relativa tranquillità (situazione favorevole al dialogo) in Palestina rischia d’interrompersi. I rapporti con l’eterno difensore (USA) raffreddati. L’Iran cerca d’intrufolarsi a Gaza proponendo di scortare le navi d’aiuti. Unica nota positiva di questo atto insulso è che la gente, almeno qui a Gerusalemme, l’ha collocato nell’abituale stupidità che caratterizza i militari di tutto il mondo, qui con più potere. Adesso un’altra nave (Rachel Corrie) è stata fermata prima di Gaza. Benjamin Netanyahu ha ordinato alle forze israeliane di fermare la nave “con gentilezza e cortesia“ed è stato fatto. Errare può essere stupido ma umano.

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