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Un giornalista francese nel paese delle sfumature. Intervista con Eric Valmir (Radio France)

Eric Valmir, corrispondente italiano di Radio France, l’ho incontrato a Roma qualche settimana fa. Era incasinatissimo tra la manifestazione sulla libertà di stampa e il disastro di Messina dove si sarebbe catapultato il giorno successivo. Non sta mai fermo, non gli bastano le agenzie e i giornali italiani dai quali potrebbe prendere a piene mani, come qualcuno fa, ma gira, ascolta storie, raccoglie testimonianze, una trottola in giro per l’Italia.

Un apprendistato da corrispondente di guerra -“Afghanistan, Iraq, Kosovo” come dice lui stesso – e ora l’Italia. Una destinazione fortemente voluta come ha sottolineato a Roma e mi conferma per telefono, un paese che lo affascina: il paese delle sfumature. Eric che, tra le altre cose, ha indagato sulla mafia del caporalato, che ha raccontato ai francesi il disastro de L’Aquila e al quale gli si spezza la voce parlando di Messina dove “c’è un caos continuo (e nonostante ciò ndr) non se ne parla più, (dato che ndr) gli italiani non vogliono più sentire parlare” e che è talmente innamorato della nostra terra da scrivere un libro sull’Unità d’Italia - quando qui il dibattito è quasi a zero – e entusiasmarsi per una parola: “magari” che sarà anche il titolo di un altro suo libro.

L’Italia, Messina e la libertà di stampa, nel giorno in cui (ma lui questo non lo sapeva ancora) un rapporto di Reporters sans frontiers ci mette al 49° posto nella classifica della libertà di stampa. A lui la parola.


Come vedi l’Italia da giornalista francese che ci vive ormai da un paio di anni?

 
Quando mi sono candidato per venire in Italia il mio progetto spiegava come i francesi vedano l’Italia come se fosse un casino permanente, con la politica che è, anch’essa, un caos totale. È sempre una caricatura. Perchè quando si parla dell’Italia in Francia è sempre pizza, mafia, calcio... e Berlusconi adesso; io volevo parlare di questo paese con un altro tono. Non parlare del contesto, ma delle strutture, delle sfumature, perchè il vostro è un paese di sfumature e credo che sia il paese più difficile da capire in Europa, perchè è un paese che ti vive dentro. E poi c’è sempre quel “Siamo italiani e nessuno ci capisce”.
 
Ecco! Le sfumature. Tu non sei un tipo da agenzie, piuttosto te ne vai sempre in giro per l’Italia a cercare storie. Come le scegli? So che ultimamente hai seguito anche il processo a dell’Utri...
 
Quando lavori sul caso Berlusconi, perchè Berlusconi ovviamente interessa ai francesi, da 15 anni ti imbatti nelle stesse cose, sempre le stesse, ma a un certo punto bisogna capire come funziona il “sistema Berlusconi”, perché non possiamo dire ogni mese che lui è furbo o cose così, ma dobbiamo lavorare a fondo. Ci sono dei processi, lui dice che sono farse, ok, allora lavoriamo su questo tema. C’è il processo a Dell’Utri, bene: Dell’Utri è condannato in primo grado, allora volevo sapere a che punto siamo con questo processo e devo dire che era molto difficile capirlo perchè non c’erano notizie, nessuno ne parlava (ora sì), ma ancora l’anno scorso nessuno parlava del processo in appello che è già iniziato da due anni e così me ne sono appassionato, perché diceva qualcosa, qualcosa di fondamentale: diceva che forse Forza Italia si era combinata con Cosa Nostra. Non vuol dire che sia vero, ma è il dibattito e se questo lo fosse, vero, vuol dire che non c’è più una separazione tra una Prima e una Seconda repubblica, che l’Italia di Andreotti e l’Italia di Berlusconi sono la stessa cosa.
 
Il problema è che Berlusconi e tutti gli affari di Berlusconi, oltre alla mafia ovviamente, danno una cattiva immagine dall’Italia, ma non è l’Italia, è piuttosto un sistema di cui le prime vittime sono gli italiani. Quando Berlusconi dice che quando la stampa estera lo critica, critica l’Italia, non è vero; la stampa estera critica Berlusconi, non critica l’Italia. Lui vuole dare l’impressione di essere il difensore degli italiani, ma non sono gli italiani che sono attaccati, loro sono sempre le vittime di questo sistema e io voglio soprattutto mandare in onda una fotografia del paese che sia una foto giusta, con gli italiani che lavorano, lavorano da soli. Voglio dire che se l’economia dell’Italia funziona è soprattutto grazie a loro, che sono piccoli imprenditori, che sono creativi e che fanno l’economia e la vita del paese e mi sembra una cosa importante. C’è un sistema di potere che non è connesso al paese e alla popolazione. Gli italiani vivono da soli, senza il potere: il governo e la classe dirigente fanno il loro business, da una parte, e dall’altra parte ci sono gli italiani.
 
Però è vero che gli italiani Berlusconi lo hanno votato. Si è parlato tanto di informazione in queste ultime settimane, credi che sia un problema di info? Credi che ci sia veramente un problema di libertà di stampa in Italia?
 
La cosa che ho scritto anche sul mio blog è che ci sono due fattori diversi. C’è il problema Berlusconi che è reale, che esiste, anche il fatto che lui abbia Mediaset e che gestisca contemporaneamente la Rai. Non credo che lui abbia un potere editoriale sulla Rai, ma c’è il fenomeno dell’autocensura.
 
Lui fa tutto per la pubblicità; c’è, ultimamente un impoverimento della Rai, che ha meno mezzi per vivere, e questa cosa fa sì che la Rai non abbia i mezzi per lottare contro Mediaset.
Credo, però, che il problema non sia solo Berlusconi. C’è Berlusconi che non vuole essere criticato e che è una minaccia per la libertà di stampa, ma non è il punto centrale: ho visto che alla manifestazione per la libertà di stampa, tutti erano antiberlusconi, ma non è solo lui il problema della libertà di stampa, il problema principale, come detto è l’autocensura, l’ha detto anche Roberto Saviano, giustamente.
 
Non si parla delle navi tossiche in Calabria, non si parla più dell’abusivismo, che non esistono più nella stampa. Questo problema dell’autocensura rappresenta una pressione, una pressione vera che viene dal potere economico e dal potere politico. Berlusconi è un elemento a parte.
 
Hai mai ricevuto pressioni, per non scrivere una cosa?
 
No, mai (ride ndr). Sono un giornalista fortunato e felice. Anche con Parigi, faccio le cose che volevo fare, sono io a scegliere le cose che voglio fare e posso farlo con serenità. A Parigi loro sanno perfettamente che non conoscono bene l’Italia e si fidano di me ed è molto importante così posso lavorare con serenità. Ho cenato l’altra sera con Conchita De Gregorio la direttrice dell’Unità che mi diceva che il oproblema della libertà di stampa è che i giornalisti in Italia non lavorano con serenità e con tranquillità; c’è sempre la paura di ritorsioni o di qualcosa così. Io ho questa fortuna.
 
Qual è la storia che più ti ha colpito tra quelle in cui ti sei imbattuto in questi anni.
 
Beh sono tante, dal mercato dell’immigrazione tra Lampedusa e la Puglia, perchè si parla tanto della mafia in Libia, ma dobbiamo parlare anche della mafia in Puglia e Sicilia ovviamente che prende i migranti e li fa diventare schiavi nei campi di pomodori a Foggia.
 
Alla fine comunque credo sia la storia di Messina dove sono stato quando c’è stata l’alluvione e mi ha colpito molto, molto, molto. Sai sono stato in Afghanistan, Iraq, Cecenia, prima di essere in Italia, ero giornalista di guerra e ho visto molte cose là... ho visto anche la fame che fanno in Africa, e anche, ovviamente, il terremoto all’Aquila, ma questo fango, questa gente, poverina... c’era poca gente ad aiutarla. A L’Aquila c’era la Protezione Civile, c’era lo sguardo del mondo, lo sguardo dell’Italia, ma a Messina anche oggi (l’intervista è di mercoledì scorso ndr) che c’è un caos continuo non se ne parla più, gli italiani non vogliono più sentire parlare di Messina, Berlusconi è venuto tre ore e poi è andato via. Una polemica per avere i funerali di Stato e chi sa se senza polemica i Funerali di Stato ci sarebbero stati. La Sicilia rappresenta per noi francesi...ehm come dire... noi francesi abbiamo la Corsica ma non è la stessa cosa. Stavo tornando a Roma con amici italiani e arrivati in Calabria abbiamo visto, su un pannello autostradale, una scritta: “Benvenuti in Italia” (silenzio ndr). Ma su quelli ufficiali, non scritto a mano da qualcuno. Come lamentarsi poi se i siciliani non votano alle europee?
 
Questa cosa tra il nord e il Sud mi colpisce molto. Fra due anni ci sarà l’Unità italiana, 150 anni, però non esiste, se ne parla poco. Io ho un progetto: sto scrivendo un libro per il 2011, per l’Unità italiana, ma non voglio fare un libro storico, perché già ce ne sono tanti. 150 anni dopo l’Unità voglio sapere che cosa vuole dire essere italiano oggi. Poi sto scrivendo anche un romanzo, sempre sull’Italia che si chiama “Magari” che uscirà l’anno prossimo. È una
storia italiana, ma è un romanzo.
Magari?
 
Sì, magari è la parola più incredibile di tutte le lingue perchè non traduce una parola, ma traduce un sentimento: è una parila molto forte, anche io non so mai come usare questa parola...
 
Stai preparando anche uno speciale sull’Italia giusto per la radio giusto?
 
Sì la sto ancora preparando. Andrà in onda su France Info il 26 e durerà tutta la giornata.

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