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Tre domande a... Antonio d’Errico a proposito del C.J.

Incontriamo oggi, per fare due chiacchiere sul fenomeno CJ, il giornalista Antonio d’Errico, capo ufficio stampa del comune di Boscoreale, Napoli.

Antonio, intanto grazie per la tua disponibilità e per il tuo tempo che so essere scarsissimo.
Ti va, prima di cominciare, di riassumere la tua carriera in poche righe? puoi anche essere telegrafico se vuoi, sìì fast, come la vita frenetica che devi affrontare ogni giorno!


"Ho iniziato giovanissimo l’attività giornalistica; all’età di 14 anni iniziai a scrivere per un settimanale sportivo per il quale seguivo il campionato di calcio dilettanti.
In seguito ho lavorato, quale corrispondente, per alcuni quotidiani regionali della campania (Roma e Napoli Notte) e per una decina di periodici settimanali, quindicinali e mensili; per sette anni sono stato capo redattore di una TV privata "Telecooper Stabia", realizzando servizi giornalistici e conducendo il telegiornale; per la stessa emittente ho anche curato servizi sportivi e radiocronache di parte di calcio campionato nazionale di serie C;
Inoltre, per cinque anni ho lavorato anche ai servizi giornalistici di un’emittente radiofonica RBTR con diffusione regionale (memorabile l’attività svolta in occasione del terremoto in Campania e Basilicata del 23 novembre 1980 allorquando facemmo rete con altre emtittenti locali per dirottare gli interventi di protezione civile); sono stato, per cinque anni, direttore del periodico mensile "Campania Nostra" a diffusione regionale e da quattro anni sto dirigendo l’ufficio stampa del comune di Boscoreale, in provincia di Napoli, uno dei più grossi comuni dell’area vesuviana, ricco di tesori archeologici, e confinante con Pompei".

Veniamo a noi, dunque.
Giornalismo tradizionale e nuova realtà dilagante: il citizen journalism. Come vivi questo nuovo fenomeno?


Il fenomeno del citizen journalism è sicuramente vissuto con crescente interesse dai “cittadini comuni” e dagli “addetti ai lavori” come me, ed è, senza ombra di dubbio, una realtà che va incoraggiata e sostenuta, anche perché sta rapidamente aprendo nuove frontiere all’informazione. Sono dell’opinione, infatti, che il citizen journalism troverà sempre maggior spazio, come testimoniano le numerose iniziative presenti sul web ed in tv - i tragici eventi di Lhasa e Mumbai hanno confermato l’importanza del cj e della comunicazione proveniente dai new media. Resto tuttavia convinto che il “giornalismo cittadino” o “giornalismo partecipativo” che dir si voglia, non potrà mai sostituire totalmente l’informazione classica, secondo i tradizionali canoni. Sono un romantico e quindi, malgrado il fenomeno stia spopolando perché prodotto diretto delle nuove tecnologie, sono ancora fortemente legato al “giornalista da marciapiede”; al cronista che va a cercarsi la notizia tra la gente armato di taccuino e penna biro.


Che rischio c’è se una notizia viene proposta da persone che non hanno un controllo etico alle spalle?

Premesso che ’’informare’’ è, e deve essere, il precipuo ruolo dei mezzi d’informazione e di comunicazione, con il diffondersi di questi fenomeni, tipo il citizen journalism, dobbiamo stare molto attenti al tipo di informazione e a come essa può essere veicolata.
E’ concreto, infatti, il rischio che per la smania o la fregola di diffondere notizie, specie attraverso la rete, si possa facilmente infrangere la privacy con devastanti conseguenze sulla vita di ogni soggetto. Per non parlare poi della “veridicità” della notizia da diffondere. Il giornalista è obbligato al rispetto della norma generale che disciplina la professione nonché al rispetto ed applicazione dei codici deontologici ed etici vigenti e ciò è senza dubbio una garanzia per il lettore e/o per l’ascoltatore; quali garanzie, viceversa, può dare un citizen reporters “pinco palla” che decide di diffondere una notizia falsa senza alcun controllo (emblematico l’episodio recente della falsa notizia sull’infarto di Steve Jobs diffusa attraverso iReport, la piattaforma di social news di CNN), specie se interessa anche minori? E come la mettiamo con i commenti degli utenti dei blog che sovente sono da censurare codice penale alla mano? Ecco, riflessioni profonde vanno fatte in tal senso e credo che per sostenere e regolamentare l’ondata dei new media non sarebbe per niente male che si legiferasse in materia, riordinando anche la legge sulla stampa ormai datata.

Agoravox nasce oltralpe, ma fin dai primi giorni ha dato un esempio di buon giornalismo, tanto da essere presa come riferimento da Google per alcuni suoi articoli. Può quindi esistere un giornalismo di qualità parallelo a quello tradizionale? Potrebbero interagire le due realtà migliorandosi a vicenda?

Sicuramente l’esperienza di Agoravox è un concreto esempio di come sia possibile una qualità parallela al giornalismo tradizionale, ma probabilmente è, al momento, un caso limite (peraltro nella sua patria, oltralpe, pare che stia per abbattersi la mannaia sul c.j. con una legge estremamente restrittiva). Il punto però è questo: il citizen journalism sarà capace di mantenere la professionalità necessaria per competere con i media tradizionali? Credo che ciò sia possibile solo attraverso un processo di profonda specializzazione che deve sostenere la qualità e il confronto. Le due realtà, a mio sommesso avviso, possono interagire di sicuro, anzi credo che proprio perché il citizen journalism vive con maggiore intensità la “città”, possa essere di utile apporto al professionista dell’informazione, come d’altro canto questi deve essere un punto di riferimento per chi sostiene e diffonde il “giornalismo partecipativo” .

Il CJ può fungere da motivo trainante per i "Giornalisti", spingendoli a migliorarsi a ricercare con più attenzione lo spirito che li ha portati a alla scelta di un mestiere così difficile e delicato?

Il citizen journalism a mio avviso un obiettivo l’ha già raggiunto: quello di ottenere attenzione e dibattito intorno a sé. Ciò quindi, immancabilmente, ha messo in moto un processo di sana “competizione” che spinge il giornalista di professione, com’è nell’ordine delle cose, a migliorarsi, a documentarsi per sostenere un confronto sul piano squisitamente professionale. Insomma il c.j. è di sicuro uno sprone a far meglio e a trattare la notizia con maggiore attenzione e dovizia di particolari.

Commenti all'articolo

  • Di Magghy (---.---.---.66) 6 febbraio 2009 13:49

    Bella e chiara l’intervista a questo serio e professionale giornalista. Concordo sull’aspetto sicurezza e diffusione della notizia.
    Scrivo anch’io e penso che questo lavoro del giornalista sia davvero particolare e delicato e come tale deve essere affrontato. Si legge tutto e il contrario di tutto e il bisogno di far notizia, secondo me, ha sostituito la notizia stessa.
    Aggiungo che in alcuni siti e blog, gli interventi degli utenti sono assolutamente spropositati e superficiali e quindi sarebbe opportuno censurare commenti inappropriati o che ledono la dignità dei giornalisti.

    Saluti.

    Maria Grazia d’Errico (omonima di questo giornalista)!

  • Di virginia (---.---.---.96) 6 febbraio 2009 16:47

    Bella intervista fatta a un professionista vero.
    Concordo in pieno sulla necessità per noi che scriviamo su un Citizen medium di essere più guardinghi e informati per non trovarci a mettere in onda cavolate o addirittura bufale.
    Il CJ è comunque uno strumento appassionante. Augurerei ad ogni giornalista di farne un’esperienza e trarne profitto (etico s’intende) perché il CJ è bello proprio per la sua gratuità, per la passione di comunicare che anima ognuno di noi.

  • Di Chetana Dhyan (---.---.---.78) 6 febbraio 2009 23:10

    Finalmente risposte chiare a domande chiare e a 360 gradi.

  • Di Pina Greco (---.---.---.2) 9 febbraio 2009 14:50

    Complimenti Antonio! Sono pienamente d’accordo con te. Ritengo interessante la partecipazione attiva dei cittadini ma ci sono forti rischi di violazione privacy e non adeguata conoscenza delle normative, dei processi. Il giornalista iscritto all’ordine professionale è tenuto al rispetto dei codici deontologici ed etici vigenti, quindi, così come dici, "è senza dubbio una garanzia per il lettore". La professione giornalistica non può essere improvvisata.

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