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Tanto tuonò che piovve

C’era proprio da aspettarselo l’ennesimo grido d’allarme della Corte dei Conti sulla corruzione della Pubblica Amministrazione: dopo la denuncia di gennaio in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario della Magistratura Contabile, la classe politica è stata in tutt’altre faccende affaccendata e del problema non si è minimamente occupata.

Oggi la replica del Procuratore Generale presso la Corte dei Conti dott. Pasqualucci, nella sua Relazione sul rendiconto generale dello Stato per l’anno 2008.
 
La valutazione del costo annuale improprio per le casse dell’erario è di 50-60 miliardi di Euro: più di quattro sisma d’Abruzzo!
 
Purtroppo il danno complessivo è molto di più ed è forse impossibile valutarlo: lo sanno i tanti cittadini che sono costretti a quelle che l’ex-P.M. di “mani pulite” Antonio Di Pietro denominò dazioni illecite di denaro.
 
Quello della Pubblica Amministrazione è sovente un sistema perfetto, affinato in decenni di accurati studi e di attenti esperimenti, atto a sostituire all’interesse generale quello personale e particolare, attuando quello che è detto interesse privato in atti d’ufficio.
 
Lo Stato moderno – scrivono Saverio Lodato e Roberto Scarpinato – è sorto in Europa proprio a seguito della separazione dell’interesse economico personale del sovrano dall’interesse economico pubblico. La commistione tra interesse privato e pubblico è un relitto degli Stati premoderni di tipo feudale.

Sull’argomento giova anche ricordare la riforma dei reati contro la pubblica amministrazione varata con la legge n. 234/1977. Essa ha abolito il reato di abuso d’ufficio «non patrimoniale», cioè quello del pubblico ufficiale che commette un atto contrario ai suoi doveri d’ufficio per fini diversi da quelli di procurare a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale. Si sono così decriminalizzate tutta una serie di condotte finalizzate alla gestione clientelare del potere; perché è sottilissima la linea che separa l’accertamento dell’interesse privato in atti d’ufficio non patrimoniale da quello patrimoniale; sappiamo tutti cosa succede quando un funzionario pubblico si «mette per traverso».
 
Ed a questo non ha fatto seguito una riforma dei procedimenti disciplinari amministrativi, la cui attuale realtà ci viene descritta da Stefano Livadiotti nel suo Magistrati – L’ultracasta :
“Il fatto è che nel circuito di ministeri, enti locali, sanità, istruzione e quant’altro, la disciplina non ha proprio alcun diritto di cittadinanza. Non esiste e basta. Lo hanno scritto i Magistrati Contabili nella delibera n. 7 della sezione centrale di controllo della Corte dei Conti sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato. Una lettura devastante. Il documento parla di «procedimenti disciplinari spesso trasformati in un’attività esercitata per mero adempimento formale».”

Ed ancora : “In alcuni casi si intuisce come l’apparato amministrativo deputato a esercitare l’azione disciplinare anteponga gli interessi del condannato a quelli dell’Amministrazione e dell’utenza.”

Insomma le regole, per la Pubblica Amministrazione, valgono in un modo del tutto particolare. E’ come se le infrazioni al Codice della Strada non comportassero generalmente alcuna multa da pagare per gli automobilisti indisciplinati.
 
Come ci si può meravigliare se la corruzione, di cui solamente una minima parte è accertabile, regna sovrana nella Pubblica Amministrazione? E cosa dire dei cittadini che non possono non ricorrere ad essa se non che sono posti in condizioni lesive della dignità della persona?
 
Animo, Ministro Brunetta! Conclusa la lotta ai fannulloni, Ella è appena all’inizio!

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