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Tre domande a... Emma Bonino

Le donne in pensione a 65 anni?

I giorni scorsi la vice presidente del Senato per il Gruppo PD ha tenuto un forum per discutere con le donne di Lavoro, Pensioni, Contribuzioni e altro.

Il giorno dopo il Ministro Brunetta ha rilanciato la questione con una proposta: innalzare anche per le donne l’età pensionabile. Abbiamo chiesto a Emma Bonino che cosa ne pensa.




 

La proposta del ministro Brunetta relativa ALLA PENSIONE A 65 ANNI PER LE DONNE è forse scaturita dal suo incontro dei giorni scorsi su lavoro e pensione per le donne? O non è forse un’idea che le è stata scippata?

A me pare che questo governo di occupazione femminile, riforma delle pensioni e welfare europeo non abbia intenzione di parlare molto. Credo quindi che la testardaggine radicale, con il Forum e la pubblicità data alla condanna della Corte di Giustizia europea, abbia senz’altro "aiutato" il Ministro Brunetta a maturare una posizione per molti versi vicina alla nostra e che va comunque salutata come un atto di rottura rispetto ad uno status quo che sta diventando insostenibile. Non parlerei di scippo, semmai convergenza su questioni importanti e potenzialmente scardinanti su tabù tutti italiani.

Cerchiamo di fare la conta dei riformisti veri in entrambi gli schieramenti e portare proposte concrete al paese specie in un momento di crisi economica come questo.

Lei condivide questa proposta? Se si, perché, se no perché.

Condivido la proposta di equiparare e innalzare, anche se il discorso è più ampio e dovrebbe riguardare anche il settore privato e non solo il pubblico. La condanna europea intanto parte dal tassello pure importante di una equiparazione delle pensioni di vecchiaia nel settore pubblico. Un passo alla volta e verso la direzione di marcia giusta, quindi: meno protezioni, ma più welfare. Questo va detto però anche al Ministro Brunetta. A fronte dei risparmi che ci saranno nel pubblico come eventualmente nel privato, se si decidesse di rimettere in discussione il tabù pensioni tout court, che i soldi vadano al welfare: voucher, servizi di cura e assistenza, conciliazione, bonus maternità.

Si può anche prevedere la proposta di equiparare uomini e donne a 60 anni?


 
Beh, bisognerebbe in generale capire di "quale" equiparazione stiamo parlando. Esistono pensioni di vecchiaia e di anzianità. Quella davvero rivoluzionaria e che porterebbe effettivi vantaggi per cittadini e per lo stato è quella di anzianità (requisiti contributivi minimi). In un sistema che da retributivo e misto per i pensionati e pensionandi, andrà sempre più verso il contributivo puro, specie per le nuove generazioni, un innalzamento dell’età pensionabile, oltre che ad essere naturale vista l’aspettativa di vita media in aumento, sarebbe auspicabile per la sostenibilità delle casse statali, nonché per l’aumento delle pensioni medie dei lavoratori e delle lavoratrici.

In tutta Europa l’età pensionabile è oltre i 60 anni. In Italia si litiga ancora per requisiti e scalini tra i 58 e i 60 anni. Sessant’anni a mio parere non basta. Anche perché mediamente si va in pensione già più tardi e molte sono le persone che in pensione non vogliono andarci. Il lavoro è un modo per tenersi attivi nella società, di essere indipendenti, di star bene. Poi ovviamente vanno fatte distinzioni e agevolazioni per i lavori usuranti, ci mancherebbe. Ma il resto d’Europa corre in avanti. Noi discutiamo ancora di risarcimenti che non esito a definire pelosi. Più anni di contributi si hanno, più le pensioni sono corpose. Questo sarà sempre più valido per le nostre nipoti e le nostre figlie. Vogliamo relegarle a una dipendenza o una discriminazione retributiva basata sul sesso?

Un piccolo sforzo delle lavoratrici che ancora vanno in pensione col retributivo puro è necessario e se ne avvantaggerebbero in termini di servizi di cura e assistenza, ma soprattutto regalerebbe una prospettiva diversa per le donne di oggi e domani.
Una mano tesa, un patto intergenerazionale che in Italia manca da tanto tempo.
Le donne normalmente hanno meno anni di contributi e una carriera lavorativa più discontinua. Il che, sempre in una ottica tendente al contributivo puro, equivale a pensioni da fame.

Non possiamo permetterci tutto questo. Quindi occorre prolungare la vita lavorativa e garantire una continuità contributiva specie per le donne, agevolandole anche nella conciliazione, motivo principale di interruzione di carriera insieme alla maternità.

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