Sulla scuola. Leggendo Taylor Gatto, ricordando Pasolini
Non so se sia il frutto di un complotto o no, se sia prodotto e strumento di un raffinato piano per il controllo sociale o solo il risultato del caso, del suo essere così facile da organizzare rispetto ad altre forme d'insegnamento, ma ho raggiunto la ferma convinzione che la scuola, così com'è strutturata ora, serva solo a diseducare, a trasformare i bimbi in quella plebe tanto ottusa che a volte mi ha fatto dubitare del futuro della democrazia.
Educare vuol dire far crescere nella libertà e nella curiosità, nell'indipendenza e nel raziocinio; la scuola (parlo di quella frequentata da quasi tutti, con l'insegnate o, peggio ancora, gli insegnanti in cattedra) fa tutto il contrario.
La lettura delle opere di Taylor Gatto, il professore statunitense pentito, autore di Dumbing Us Down: The Hidden Curriculum of Compulsory Schooling , della cui esistenza ho appreso solo poco fa, non mi fatto arrivare a questo giudizio; lo avevo già formulato da anni, ma, proprio per il mio essere quasi completamente autodidatta, non avevo mai avuto il coraggio di esprimerlo, soprattutto a me stesso.
I primi sospetti sull'efficacia dell'insegnamento tradizionale mi sono nati costatando la fondamentale ignoranza dei miei amici e conoscenti che hanno completato il loro passaggio attraverso il tritacarne della scuola: laureati e bi-laureati che, levate le nozioni tecniche riguardanti la loro specialità, hanno una cultura del tutto paragonabile e spesso inferiore a quella di un bimbo appena uscito dalle elementari.
Inutile fare esempi puntuali (ne potrei fare centinaia); quel che più mi stupiva, a parte il loro non sapere questo o quello, era il modo in cui si scusavano; allargavano le braccia, alzavano le spalle e, senza accorgersi dell’ironia della cosa, sbuffavano: “L’ho fatto a scuola, ma...”.
Non saprei trovare migliore dimostrazione di quanto sia inefficace frammentare il sapere in pacchetti, di quanto a poco serva distribuire la cultura in pillole da prendersi, rigorosamente dietro prescrizione dell’insegnante, in tempi strettamente stabiliti.
Fosse solo questo il danno provocato dalla scuola non vi sarebbe nulla di troppo grave, ad ogni modo; si può apprendere dopo, da un libro, quel che prima, a scuola, si è solo “fatto”.
La vera tragedia, conseguenza inevitabile di un sistema educativo così simile a quello carcerario e più intrinsecamente violento di qualunque buona caserma (cito a memoria dalle “norme di tratto” dell’ Esercito Italiano: "si devono evitare i rimproveri agli inferiori in presenza dei loro pari grado"; l’esatto contrario di quel che avviene nelle aule scolastiche) è la morte intellettuale e morale degli studenti.
Non solo i giovani uomini e donne (perché questo si è a 18 o 19 anni, non ragazzi: ai ragazzi non si dà il diritto di voto) escono dalle scuole superiori tanto imbevuti d’ignoranza da non sapere neppure di non sapere, convinti di aver ricevuto, in un pacchetto infiocchettato, tutto quel che gli serve per comprendere il mondo, ma non hanno più neppure la minima curiosità dopo che per un decennio e oltre sono stati convinti a non “perdere tempo”, seguendo le loro naturali inclinazioni, per concentrarsi su programmi di studio risibili (tutta la matematica che si impara in un liceo scientifico non richiede più di un mese di tempo per essere assimilata) in cui elementari nozioni sono ripetute all’infinito, fino a garantire la morte per noia di qualunque eventuale interesse per la materia.
I ragazzi sono scoraggiati ad indagare da scuole, organizzate né più né meno che come quelle coraniche (non si affrontano i testi, non si va alle fonti; si salmodia il contenuto dei manuali), da cui escono, per solito incapaci di condurre un ragionamento, perché li si è solo addestrati a memorizzare, ritenendoli per lo spazio di un compito in classe o di un’interrogazione, dei percorsi logici pre-formati e mai davvero compresi, mai davvero fatti propri.
Ne risulta un’incapacità di emettere giudizi autonomi, dopo essersi procurati dei dati ed avervi meditato sopra, che è la causa prima del degrado della nostra democrazia; sono elettori “di pancia” quelli così formati: gli acritici ripetitori di slogan che incontriamo a frotte anche qui, in rete.
Pessimi cittadini, dunque, vittime di ieri e carnefici di oggi, reazionari sempre, specie quando giocano ai rivoluzionari, come chi è abituato fin dalla prima elementare ad ingraziarsi un potere, e eternamente conformisti, come non può che essere chi si è sempre visto premiato o castigato solo in base al parere di altri e ha posto l’altrui approvazione, dell’insegnate come dalla piccola tribù dei compagni di classe, come scopo ultimo del proprio agire.
Non sono un pedagogo (lo schiavo che accompagnava il bimbo dal maestro; quanta saggezza nascondono le etimologie) e non ho soluzioni da offrire. So con certezza che una scuola diversa esisteva, nel 1945 , a Casarsa della Delizia, nel Friuli dove scorazzavano i cosacchi di Vlasov e c’era poco o niente da mangiare. Io mi ritengo un suo allievo. Se so scrivere queste righe lo devo, oltre che alla mia maestra delle elementari, al “Silvanel” che, in un momento difficile della mia vita, mi ha dato la forza di continuare per la mia strada. Lo devo, in fondo, a Pier Paolo Pasolini.
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