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Tensione in prima pagina

Come ci troviamo, isolati e spaventati, a votare per la feccia che risale il pozzo della Storia.

Tra gli anni settanta e ottanta, l’Italia divenne il paese delle bombe. E delle stragi. Si morì nelle piazze, sui treni e nelle stazioni. Delitti rimasti in sostanza tutti impuniti, ma che facevano parte di un’unica strategia della tensione. Un’idea venuta alla nostra destra più orribile e a parti a lei contigue dello Stato: seminare il terrore perché i cittadini, in cambio di quella sicurezza che ormai sentivano mancare, fossero pronti a rinunciare a una parte della propria libertà. Un modo per imporre al paese una svolta reazionaria; meglio ancora, perché fosse il paese stesso ad invocare un “ritorno all’ordine”. E’ una spiegazione superflua per chi ha la mia età, questa che ho appena dato, ma che può essere utile ai giovani; a chi è nato dopo, quando, finita la fase più acuta della Guerra Fredda, preso atto della scelta “atlantica” del PCI, le bombe avevano smesso di scoppiare. Con loro si era interrotta anche la strategia della tensione. Sì, solo interrotta; da anni, infatti, è ripresa, seppure in altra forma. Quale? Quella delle prime pagine dei giornali, e delle aperture dei telegiornali, dedicate ad ogni delitto. Viviamo in un paese molto più sicuro di quello in cui siamo cresciuti, di un ordine di grandezza più sicuro, per usare il linguaggio dei fisici, di quello in cui vivevano i nostri bisnonni, eppure la gente pensa che le cose stiano esattamente al contrario. E non solo la gente. Leggo l’opera di uno storico e trovo “la Roma degli anni cinquanta non era quella violenta di oggi”. Una baggianata colossale, perché in quella Roma de noantri ci si ammazzava quattro o cinque volte più di quanto accada di questi tempi. Leggo il monumentale e per molti versi memorabile romanzo che vincerà il prossimo Strega (si accettano scommesse). L’autore, prima di partire per una delle sue fluviali riflessioni sulla vita e sul mondo, vi afferma: l’anno scorso in Italia saranno avvenuti tremila omicidi. Per fortuna, però, ne sono accaduti sette volte di meno, con tanti saluti alla citata riflessione. E’ tutta la nostra società, insomma, ad essere convinta di vivere in un’epoca particolarmente violenta. La gente ha paura, titolano ancora i giornali, dimenticando che sono stati proprio i loro titoli a spaventarla. Titoli che si allargano, che si ripetono per giorni, fino all’ossessione, nei casi (rarissimi, statisticamente quasi irrilevanti: dovremmo avere più paura dei fulmini che degli eventuali malfattori albanesi o nigeriani) in cui l’assassino è uno straniero. Contrariamente a quanto è accaduto negli anni di piombo, non penso vi sia una regia dietro tutto questo; credo basti la voglia di vendere una copia in più per giustificare un comportamento tanto ottuso. Il risultato però è identico a quello che si prefiggevano gli ideatori degli attentati. Lo stillicidio di cattiva informazione si sta rivelando, anzi, ancora più efficace del tritolo nello spostare su posizioni reazionarie l’opinione pubblica. Dopo eventi come la strage di Bologna, il paese si unì e reagì. Giorno dopo giorno, titolo dopo titolo, di questi tempi ci ritroviamo, invece, sempre più isolati e spaventati. Sempre più disposti a votare per le iene e gli avvoltoi della peggior politica; per la feccia che risale il pozzo della Storia.

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