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Sud: quanto ancora deve pagare?

Il Sud del nostro Paese è questione controversa da sempre.

Un’area vastissima del territorio, eppure continuamente assoggettata al resto della Nazione in quanto a sviluppo industriale, imprenditoriale e delle infrastrutture.
 
Regioni –quelle del Sud– che eppure hanno prodotto nelle varie epoche, rivoluzioni storiche, produzione di cervelli eccellenti e una sorta di contraddittoria dignità fatta di parametri totalmente diversi da ciò che si considera in senso più nazionalistico.
 
Il Sud è l’area storica italiana più compromessa. Un po’ grazie all’area geografica in cui si trova, che ne ha fatto approdo di quella fase di globalizzazione etnica del nostro territorio, un po’ per una sorta di distacco dal resto della Nazione, frutto di pregressi socio-economici alquanto discostanti dalle altre regioni del centro nord.
 
Il Sud patisce la propria partecipazione ad una storia antica, ancor oggi attuale nelle pieghe di un esistere che sa di tempi andati. Il Sud di oggi è lo stesso Sud di ieri. Controversa versione di un passato che non si rinnova ma che anzi affonda sempre più le proprie radici in strategie di pensiero che non trascendono l’oggi verso il futuro.
 
Il Sud fa parlare di se sempre e da sempre. Come un cugino di secondo grado poco conosciuto ma che sortisce curiosità generale. Particella coesa eppure refrattaria al resto del territorio. Chi è stato al potere del nostro Paese, ha tentato di far evolvere in un modo o nell’altro le regioni pesantemente costrette ad un reiterare di tempi antichi e sviluppo lento, il tanto da non consentire alcun reale processo di ammodernamento.
 
Il nostro Mezzogiorno è e continua ad essere, un’unica cosa agli occhi del mondo politico: un contenitore cui attingere quando si ha poco da fare e da utilizzare per meglio diffondere la propria immagine istituzionale alla Nazione. Una sorta di “salvata in corner” quando i discorsi e gli affari generali giungono a languire. Ecco quindi riattizzare l’attenzione dell’opinione pubblica, generando uno dei tanti tormentoni atti ad allertare le coscienze ed a proporre una visione della grande organizzazione comunitaria così come si vuole che appaia.
 
Tra FAS, Banca del Mezzogiorno, Cassa del Mezzogiorno, piani speciali e persino dichiarazioni del Governo relative ad un nuovo “Piano Marshall” per il Sud, ci ritroviamo con una nuova spinta propulsiva per cui ragionare, vivere e combattere.
 
Innanzitutto un chiarimento. Questi famigerati FAS (Fondi per le Aree Sotto utilizzate) non sono un prodotto innovativo. Istituiti con la Legge N° 289 del 27 Dicembre 2002 – testo modificato con la Legge 296 del 27 Dicembre 2006 – avrebbero dovuto trovare giusta collocazione nell’ambito dei sei anni che vanno dal 2007 al 2013.
 
All’atto pratico e cercando di sintetizzare, all’epoca della normativa istituita, vennero messi in ballo 63 miliardi di euro, da utilizzare nel periodo indicato e producibili su richiesta delle Regioni previa presentazione di documentazioni e progetti utili per la ristrutturazione delle infrastrutture e lo sviluppo industriale.
 
Nella realtà dei fatti, sembra che fino ad oggi tali Regioni non abbiamo mai prodotto tali progetti, tanto da rendere inutilizzati gli stanziamenti profusi grazie anche alla Comunità Europea, che in caso di mancato utilizzo nei tempi richiesti non fa altro che richiedere indietro il denaro non sfruttato.
 
In effetti, ai FAS si è ricorso, ma per altre Regioni e per altri interventi. Non ultimo la parziale ricostruzione delle aree terremotate in Abruzzo. Come mai in questi casi, non si è dovuto procedere a “sbloccare i FAS” come sta avvenendo ora per elargire una minima parte degli stessi proprio alle aree per cui sono stati istituiti? Una sorta di “porcellino salvadanaio” cui attingere per gli scopi più svariati ma mai attinenti la stessa motivazione per cui sono stati pensati e creati.
 
Ecco quindi apparire alquanto distorta la comunicazione per cui –trionfalmente– si dichiara di aver “liberato” 4 miliardi di euro dai FAS da dedicare intanto alla Regione Sicilia. Che fine abbia fatto l’ingente cifra di 63 miliardi approvati per il periodo 2007/2013 non è dato infatti sapere.
 
E non è dato sapere se, a questo finanziamento che sta producendo ardori e passioni fra i componenti delle amministrazioni siciliane, corrisponda un piano strategico ben delineato per far sì che questo denaro venga utilizzato per opere strutturali e di sviluppo piuttosto che per fare cassa nei conti sottozero della regione Sicilia, cosa che andrebbe totalmente contro lo stesso principio costitutivo dei Fondi per le Aree Sotto utilizzate.
 
Nel frattempo, fra i componenti del Governo, si spacciano per nuovi vecchi progetti come una possibilità di un “piano Marshall per il Sud” che prevede un eventuale intervento una tantum, e quindi non certo inteso ad uno sviluppo continuativo del Mezzogiorno o una rinnovata “Cassa del Mezzogiorno” i cui effetti negativi furono dati da una profusione di investimenti pubblici che non trovarono mai reale attuazione, e si lasciarono nel dimenticatoio progetti propagandati al solo scopo di produrre benefici effetti economici su un piccolo gruppo di finanziatori, come nel caso dell’incredibile storia della “Banca del Mezzogiorno”, sbandierata a gran voce ma mai attuata nella realtà.
 
Il Sud, per ristabilire un livellamento socio-economico con il resto del Paese, non ha necessità di interventi straordinari, investimenti una tantum o elemosine per consentire di tappare le falle del sistema economico pubblico incancrenito da cattiva gestione ed interpretazione delle reali necessità. Il Sud, per rinascere, deve essere accorpato al resto del Paese. Pensato come il resto del territorio e sostenuto da progetti condivisibili e chiari.
 
Per non restare indietro, è necessario guardare al presente e verso il futuro. Con un occhio al passato al solo scopo di non reiterare gli errori già commessi. Solo così, potremo parlare di Nazione, dal Nord al Sud. Solo così non avremo il nostro personale Terzo Mondo, che serve solo come vessillo di uno Stato che nel senso di “soccorso” basa le sue fondamenta. Solo così il Sud non sarà mai più un capitolo scomodo su cui basare la propaganda del momento. Per un’Italia unita, nel bene e nel male, ma partendo tutti dallo stesso concreto punto di vista.

Commenti all'articolo

  • Di Anjel (---.---.---.167) 1 agosto 2009 10:50

    sono un lucano (che volete di più dalla vita?) e credo che il sud sia responsabile dei suoi mali esattamente come il Paese tutto. In una repubblica, in una democrazia, la sintesi dell’attività politica è la scelta. Gli elettori scelgono e il Parlamento e il governo sono lo specchio della società che li ha espressi. Inutile cercare altre scuse. Si è sempre scelto di seguire il principio "o Franza o Spagna - o Padagna - purché se magna" e si è finito per scegliere ogni volta i propri padroni.
    Ci vuole giusto un’altra banca in questo paese in cui le banche tengono per le pa//e il ministro dell’economia (leggere l’Antefatto in proposito), tra l’altro Banca Sviluppo che fine farà? 

  • Di Emilia Urso Anfuso (---.---.---.113) 1 agosto 2009 12:36
    Emilia Urso Anfuso

    Salve

    sono la giornalista autrice dell’articolo.

    Grazie per il commento che condivido.

    La invito a leggere quest’altro mio articolo-inchiesta, dove parlo dello "strano caso della Banca del Mezzogiorno"

    Lo troVa a questo link:

    http://www.gliscomunicati.com/content.asp?contentid=1291

    Buona lettura e buona giornata.

    Emilia Urso Anfuso

  • Di Giulio (---.---.---.174) 1 agosto 2009 13:03

    Il Sud, ovvero quella porzione di territorio della repubblichetta italiota che serve per avere i voti e per mantenere il potere in modo da poter continuare ad esercitarlo facendo finta di essere in una democrazia.
    Al di là dell’ottima analisi che conidivido, i 4 miliardi(!) di euro "sbloccati" mi sembra il conto che questi quattro rubagalline devono pagare per aver ottenuto così tanti voti in una regione dove la gente per bene viene sovrastata ogni giorno.
    Dipendiamo dal petrolio per ogni cosa che facciamo e tutti sanno che nello stretto di Messina la corrente è talmente forte che potrebbero fornire energia a gratis all’isola cui tanto tengono. E senza spendere neanche la metà dei soldi che vogliono "sbloccare". Ma si sa, con appalti pubblici, nuovi edifici, il ponte sullo stretto, ci mangia tanta gente: tutti potranno avere la barca a mare, tutti la casa o la macchina nuova. E senza nemmeno cacciare un euro. Tutto a spese dei cittadini che nel frattempo non riescono nemmeno ad arrivare a fine mese.
    Ogni giorno mi domando sempre la stessa cosa: perchè la gente continua ad andare a votare ?

    Saluti,
    Giulio
    Napoli

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