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Storie da Haiti

Mi scrive Gilberto, dopo il suo volontariato ad Haiti e racconta quello che si è visto in tutte le aree dove ONG e Nazioni Unite hanno messo su il loro carrozzone (Nepal, Cambogia, Darfur, Congo, etc.).

 

Arrivai a Porte-au-Prince (PaP) il 12 maggio 2010 esattamente quattro mesi dopo il terremoto per aiutare, a titolo personale, degli amici e altra gente a ristrutturare quando più possibile le case. Le prime immagini nel tragitto aeroporto-Petionville mi risvegliarono i ricordi della mia infanzia: la Milano bombardata.
 
E’ stato questo il mio quarto soggiorno in Haiti (il primo nel 1976) ed è durato due mesi e mezzo. Quando sono ripartito poco o nulla era cambiato; i lavori di sgombero avanzavano lentamente e le squadre di sgombero con picco e pala dei programmi Cash for Work ( 5$ / giorno) già in giugno erano meno visibili. (Nessuno non ha mai pensato di inviare ruspe, gru e camion ?)

Inutile aggiungere esempi di malfunzionamento di tutti gli interventi
. L’impressione che ho avuto dai contatti con le ONG é di un funzionalismo assoluto con costi operativi elevatissimi. Per fortuna alcune organizzazioni che operano nel settore sanitario lavorano in maniera autonoma e i loro interventi sono almeno efficaci e con pochi sprechi. Il CIRH (Comité Interimer pour la Reconstruction de Haiti- Bill Clinton) con il mandato di coordinare i progetti e gli investimenti di più di dieci miliardi è divenuto operativo solo a meta luglio (sei mesi dopo l’evento).


Le cifre? Non credo che ci sia una persona che possa validare le cifre delle somme promesse e ricevute, del loro impiego e i risultati degli interventi nella capitale o nelle regioni sinistrate. Inverificabile. In luglio c’erano, a Port-au-Prince, 45 rappresentanze delle Croix Rouge; Croissant Rouge; e ufficialmente 125 organizzazioni ONG, ma nessuno conosce davvero la cifra, nemmeno approssimativa.

In quanto alla ricostruzione, non é per domani: ho lavorato direttamente alla riabilitazione di case adattandomi ai materiali che si poteva trovare e comprare, a prezzi che aumentavano ogni settimana a causa della rarità. Pure la mano d’opera `pseudo specializzata’ si fa rara, gli affitti delle case disponibili sono cari dai $ 1500 ai $ 3000 al mese e anche qui la presenza delle ONG ha fatto aumentare la domanda.

In luglio il governo haitiano ha aperto un concorso per 250.000 abitazioni popolari (dico bene duecentocinquantamila): è inverosimile, con i materiali e la manodopera disponibile, costruirne 25.000 per anno. In agosto é iniziato il ricollocamento dei campeggi in altre zone con la fornitura di capanne in legno o altre soluzioni provvisorie in previsione della stagione degli uragani. Per fortuna Tomas è stato mite.

Ma la cosa più triste è lo scoraggiamento e lo scetticismo generale della popolazione. Oggi con tutte le nazionalità rappresentate nella MINUSTAH, NU e ONG, Port-au-Prince é una vera Babilonia di lingue, di idee e di modi operativi. In Haiti la maggioranza della popolazione parla solo il ‘creole’. Se si vuole ricostruire PaP, che si incominci con le fogne. Se si vuole aiutare Haiti a svilupparsi, che si incominci ad aiutarla a sviluppare le sue risorse umane. Una disgrazia non arriva mai sola. Ecco la seconda; il colera!

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.82) 24 novembre 2010 09:02

    Triste vedere come la buona volontà di molte persone viene sfruttata da chi dovrebbe essere punto di riferimento e tramite per aiutare chi è in difficoltà.
    E pensare che queste organizzazioni internazionali (ONU in testa) quando annunciano posizioni di lavoro richiedono curriculum perfetti. Richiedono dipendenti che siano quasi geni e impeccabili per risolvere, sotto il loro ombrello, i problemi del mondo. Beata illusione. Ovviamente non voglio assolutamente generalizzare, anche questo sarebbe ingiusto. C’è anche chi lavora seriamente.
    Ma se si pensa che la carenza di informazione porta la gente a casa a chiedersi (ingenuamente) perché molte popolazioni non riescono a migliorare la propria condizione nonostante i tantissimi aiuti, oppure spesso si sente dire che il problema è il numero, "sono troppi e non c’è abbastanza per tutti!" (magari dopo che abbiamo mangiato antipasto, primo, secondo, contorno, frutta, dessert, senza contare digestivo, etc.), mentre il vero problema è la cattiva gestione e distribuzione di risorse, mezzi, capacità, etc. Basterebbe meno e usato meglio.
    Proprio oggi leggo un interessante articolo "Millions Go Hungry as Obesity Rages" (http://www.africanexecutive.com/modules/magazine/articles.php?article=5567&magazine=310)

    Grazie per i puntuali aggiornamenti da Haiti.

    Giuseppe Fusco

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