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Song Reader: il progetto “citizen” di Beck

Pubblicare un album musicale ‘scritto’ e lasciare che siano i propri fan a farlo suonare: l’artista si siede a guardare come il mondo suona la propria musica.

 

Qualche giorno fa mi sono ritrovato ad ascoltare due album di Beck a cui sono particolarmente legato (forse perché sono i primi ad essermi stati “regalati” in cassetta tanto tempo fa o, semplicemente, perché me ne innamorai subito): Odelay e Mellow Gold, “quello di Loser”.

Beck è uno di quei musicisti a cui non vi sorprenderà vedere associato il termine “genio”, declinato in tutti i modi possibili. E forse Beck un genio lo è veramente se a dimostrarlo bastassero gli artisti che ci hanno collaborato o la carriera… eclettica, se volessimo trovare uno e un solo aggettivo. Sì perché Mr Hansen ha spesso fatto storcere la bocca a quei fan che vorrebbero che il proprio artista preferito facesse sempre lo stesso album. E così, per dirne una, immagino la sorpresa del passaggio da un album come Midnite Vultures al più intimisticoSea Change. Ma gli esempi sono tanti.

Già qualche anno fa rimasi colpito dal progetto “Record Club” in cui Beck invitava vari amici artisti a incidere un intero album di cover, dai Velvet Underground & Nico, agli Inxs fino a Leonard Cohen, collaborando con artisti del calibro di Devendra Banhart, MGMT, Wilco, Feist e altri. Insomma è uno a cui piace sperimentare e mettersi in goco, come quando decise di produrre l’album della francese Charlotte Gainsbourg.

Qualche mese fa, poi, l’annuncio: esce il suo nuovo album… ma solo cartaceo. Sì, avete letto bene. Solo cartaceo. Lo pubblica McSweeney’s, la casa editrice fondata da quel “fomidabile genio” di Dave Eggers. Un libro fatto di una prefazione, una postfazione, gli spartiti delle canzoni e un artwork ad hoc che ne è colonna portante. L’importanza che dà all’artwork, come Beck ammette in un’intervista al Guardian, risale a quando era piccolo ed era a casa dello zio che aveva questo pianoforte e tutti questi spartiti che lui, però, non poteva suonare; quindi l’attenzione del piccolo Hansen si fissò sull’artwork di quei fogli che rapirono la sua fantasia. Per questo motivo è stato deciso di dare molta importanza alla parte grafica, affidando i disegni a diversi artisti:

“Though I’ve worked with some of them before,” Beck adds. “I thought they would really understand the project, and they did, they were able to leapfrog ideas and evolve it.

L’artwork, certo, ma anche le parole acquistano maggiore importanza rispetto al disco. Una sfida, dice Beck: “A volte i testi erano troppo scontati, i sentimenti troppo logori. Ma se la canzone fosse stata troppo fine o self conscious, non sarebbe stata universale”.

Il primo, che io sappia – ma potrei essere smentito subito – esempio di citizen music, o almeno una sorta di. L’intento di Beck, infatti, è quello di lasciare che sia la gente a suonare questa musica e (re)interpretarla.

Progetto collettivo, quindi, che nasce nei primi anni 90, quando internet come lo conosciamo oggi non esisteva ancora e che rimane sepolto sotto la sua carriera finché nel 2004 non ne parla proprio con Eggers e da lì l’idea comincia a conretizzarsi. Come ricorda Mashable: “Dopo aver pubblicato gli spartiti, Beck ha fatto una chiamata pubblica ai fan per registrare le loro interpretazioni delle canzoni” e “essentially crowdsourcing his own album via social mediaplatforms

“Siamo contenti di vedere le persone condividere le proprie versioni. C’è un gruppo chiamato Portland Cello Project che ha registrato le 20 canzoni del libro e le ha messe su iTunes” ha detto a Mashable Jordan Bass editore di McSweeney’s. Un progetto partecipato, quindi, in cui le persone possono suonare e postare il risultato dei loro esperimenti su Youtube e Soundcloud.

Ancora più chiaro il cantante quando dichiara al Guardian: “Voglio sentire quanto sono lontane dall’idea originale con cui sono state scritte. Posso suonarle live, ma sono più interessato ad ascoltare cosa ne fa la gente”

In un periodo in cui la cosa più vicina al rapporto coi fan, a parte i social, è ilcrowdfunding, Beck fa una virata e ci prova in questo modo, conquistandosi oltre i plausi dei fan (che comunque, siamo sicuri, aspettano le canzoni suonate da lui) anche quelli della critica letteraria, come dimostra la recensione di Alan Levinovitz di The Millions che arriva (esagerando?) a dichiararlo migliore, tra gli altri, del capolavoro di Julio Cortázar “Rayuela – Il gioco del mondo”, per vari motivi: “Il libro di Beck è migliore di questi perché non è forzato o pieno di trovate. È la tendenza hispter di spingere l’anacronismo ai suoi estremi. Perché? Perché chiede a musicisti come me di forzare le proprie capacità. Perché è nostalgia nella sua forma più pura (See the moon begin to rise / just like it did back home, canto mentre suono “Old Shanghai.”) (…) Perché mi alleno con le canzoni di Beck, assieme a migliaia di altre persone e vedremo e ascolteremo assieme a Beck come il mondo suona la sua musica. Scoprirà lu stesso come suona la propria musica. E lo scoprirò anche io. Nessuno di noi avrà l’ultima parola. È ultra bizzarro e ultra post moderno allo stesso tempo”.

E se avete la curiosità di scoprire come suona quest’album potete sempre guardarvi i video caricati nel portale creato ad hoc per i fan del progetto, ovveroSongReader oppure ascoltarvi direttamente il gruppo suggerito da Jordan Bass su Soundcloud. Se poi, invece, voleste farvi un’idea generale su Beck oltre Song Reader, proprio giovedì Stereogum pubblicava quelli che per James Jackson Toth sono le dieci migliori canzoni del musicista americano.

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