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 Home page > Tribuna Libera > Silvio B. al Quirinale e i destini della Repubblica

Silvio B. al Quirinale e i destini della Repubblica

Tra due anni, il povero Giorgio Napolitano, che in quei saloni non sta avendo vita facile, lascerà libero il Quirinale e le grandi manovre per mettere al suo posto Silvio Berlusconi sono, e non da ora, già iniziate.

L'operazione non è ancora del tutto avviata e alcuni dentro al PdL, tra questi Fabrizio "Ginko Biloba” Cicchitto, negano addirittura che venga, al momento, presa in considerazione, ma tutti sanno che, da sempre, la Presidenza della Repubblica è il sogno nel cassetto di Silvio Berlusconi; il coronamento che sogna alla sua carriera d'italiano eccezionale (o che si considera tale).

Non è inutile ricordare che una simile ipotesi, che pure trova il plauso di poderosi intellettuali del calibro di Daniela "non sono una signora" Santanché, dovrebbe far venire i brividi a chiunque abbia a cuore, indipendente dal proprio colore politico, i destini della democrazia italiana oltre che la conservazione del poco che resta della decenza delle istituzioni repubblicane.

Farà ridere l'idea di una sala del Bunga Bunga al Quirinale, e qualcuno si sarà divertito sentendo Vittorio"Mitrokhin" Feltri scherzarci sopra, ma certo non può piacere a chi pensa che il Presidente della Repubblica debba rappresentare, prima d'ogni altra cosa, la dignità dello Stato, sapere che si pensa d'assegnare una simile carica ad un uomo che, tra un cucù alla Merkel e un baciamano a Gheddafi, si è coperto di ridicolo con i propri comportamenti pubblici, prima ancora che con quelli privati.

Ancora meno, e vengo alla vera ragione dell’oggettiva ineleggibilità di Silvio Berlusconi, si può accettare d’avere in cima al colle il padrone di un partito; chi, nelle parole di Giulietto “Bugia” Tremonti, “è il PdL”.

Non è un caso se Capi della Stato eletti fino ad oggi non sono mai stati personaggi di primissimo piano: il Presidente della Repubblica, per il ruolo di arbitro della lotta politica e guardiano della legalità costituzionale che la nostra Carta Fondamentale gli assegna, deve essere una figura quanto più possibile sopra le parti che, pur provenendo da un partito politico, non deve essere identificabile solo con quel partito.

Niente di più diverso, dunque, da quel che Berlusconi è nelle parole dei suoi stessi sostenitori.

Silvio Berlusconi, infatti, è il vero e proprio padrone del PdL: i parlamentari di quel partito, che a lui solo devono le proprie fortune, per sopravvivere politicamente non possono permettersi la minima iniziativa autonoma; gli sono, non potendo fare altrimenti, assolutamente fedeli.

Già oggi, da Presidente del Consiglio, con un parlamento in simili condizioni, Silvio Berlusconi ha poteri quasi illimitati; domani, da Presidente della Repubblica, con un proprio “dipendente” alla guida del governo e continuando, come inevitabilmente farà, ad esercitare un controllo totale dentro il PdL, diventerebbe un vero e proprio autocrate.

Un sovrano assoluto, libero di fare, del Paese, tutto quel che vuole e le cui decisioni potrebbero trovare un’opposizione solo nella Corte Costituzionale; una consulta che, è facile immaginare, sarebbe soggetta a continui tentativi di “plagio” e, se resistesse a questi, che verrebbe costantemente attaccata, come peraltro succede già ora, nella sua autorevolezza.

Se Berlusconi diventasse Presidente della Repubblica, insomma, l’Italia si trasformerebbe in qualcosa di molto diverso da quel che i Padri Costituenti avevano in mente: in un Paese, a tutti gli effetti, proprietà personale di un uomo solo.

Una proprietà di cui potrà disporre a piacimento e che lascerà in eredità ai propri rampolli.

Il segretario del PD, Bersani, prova “un brivido” davanti a questa prospettiva e invita chi “ha puzza sotto il naso quando dico - alleanze larghe per la ricostruzione del Paese" ad immaginare quel che sarebbe, in questo momento, la situazione se al posto di Napolitano vi fosse Berlusconi.

Non so se le sue parole, finalmente, sortiranno l’effetto voluto, ma quel poco che ho capito di Heidegger mi dà un certa fiducia.

Solo facendo propria l’ipotesi della morte, solo comprendendo la possibilità dell’assenza di possibilità, dice il filosofo tedesco, l’Essere può compiersi; l’uomo solo quando diviene cosciente della propria mortalità, detto altrimenti, può raggiungere la piena maturità.

Penso che ormai tutti, anche i più ottimisti e faciloni tra gli oppositori del nuovo duce (la minuscola è in questo caso di rigore) abbiano capito che la morte della nostra democrazia non è una vaga e lontana ipotesi; che la possibilità della fine delle nostre possibilità di vivere come cittadini di una Repubblica e non come sudditi di un regno è assolutamente reale; lontana nel tempo solo altri due anni di stupide liti e di inutili gare a chi, tra loro, sia il più duro e il più puro.

Davanti alla concreta possibilità della morte della Repubblica Italiana, mi ostino a sperare, tutte le forze dell’opposizione si uniranno, metteranno da parte le loro differenze politiche e ideologiche, e, pur nel rispetto delle proprie storie, alzeranno una muraglia comune per difendere la Costituzione ed i suoi valori.

Se sarà così, il berlusconismo, quando passerà, potrebbe essersi rivelato una provvida sventura; potrebbe, suo malgrado, aver costretto la nostra democrazia a maturare.

Dopo 150 anni di Unità Nazionale, e 70 anni di vita come Repubblica, è quello che un grande paese come l’Italia, finalmente, si merita.

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