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Roma Digitale

Roma Digitale”. Vado ruminando queste due parole in testa ed immagino la banda larga cablare la superficie della città e plasmarla finalmente a misura di utente. Immagino una connettività veloce, libera e diffusa. Immagino una pubblica amministrazione digitalizzata e interattiva. Immagino una scuola multimediale in cui lo stridore del gesso sulla lavagna è sostituito dal picchiettare di una tastiera. Immagino imprese a conduzione familiare informatizzate e globali. Immagino una fruizione turistico-culturale che sappia fondere il marmo di scalinate e fontane al plasma dei pannelli informativi in 3D. Immagino aggiornamenti in tempo reale sul traffico fruibili in mobilità.
 
Immagino una città 2.0, ma la realtà viaggia inesorabilmente a 56k.
 
“Roma Digitale”, infatti, almeno nella sua fase iniziale, sarà semplicemente la traslitterazione del progetto “Roma Città Sicura”, solo con 600 milioni di capitali privati a supportare l’impresa.
 
Il progetto lanciato pochi giorni fa dall’Unione degli Industriali di Roma prevede un piano quinquennale per rivestire di fibra ottica il tessuto metropolitano cinto dal Grande Raccordo Anulare. La priorità del piano, naturalmente, è la sicurezza. Centinaia di telecamere occhieggianti sbocceranno come stigmate sul corpo della città eterna, scandagliandone ogni angolo con occhio bramoso e imperturbabile.
 
Riguardo la gestione del flusso di informazioni rubate da questo implacabile esercito di spie metalliche, giungono esilaranti rassicurazioni dagli Interni: “Non ci sarà una Spectre romana, bensì un’interconnessione delle sale operative esistenti”, scherza il jazzista a capo del ministero, apparentemente dissuaso dalla tentazione, palesata entusiasticamente solo pochi mesi fa, di un modello americano con una centrale unica sotto il comando di un sindaco-sceriffo.
 
A ben pensarci, il modello americano professato dal guru newyorchese Rudolph Giuliani ha dei costi etico-economici insostenibili per uno stivale scollato e scalcinato come quello italico. E allora, Spectre o meno, costelliamo la città di telecamere, stelle gelide che apparentemente rappresentano l’unica risposta – intrusiva e a buon mercato - ad un impalpabile bisogno di sicurezza creato in laboratorio da chissà quale ufficio stampa. Sempre di più, quindi, sempre più sofisticate. Sebbene dalla prefettura continuino ad urlare nel vuoto che a Roma “non c’è alcuna emergenza sicurezza”.
 
“Roma Digitale”. Vado ruminando queste due parole in testa e la visione immaginifica di una città tecnologicamente amica è inghiottita dall’ombra cannibalica di una città-macchinario, plumbea, severa, austera. Il Futuro può attendere, è evidente. Intanto, però, tutti pronti ad andare in video, va in onda un nuovo episodio dell’uomo di vetro.

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