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Rapporto di Amnesty sulla pena di morte nel 2010 - C’è ancora molto da fare

La riduzione delle esecuzioni capitali nel mondo, dalle 714 del 2009 alle 527 del 2010, non è certo un dato che mette il buon umore. Anche perché se da un lato diminuiscono le uccisioni in nome della giustizia, dall’altro aumenta il numero dei Paesi che applicano la pena di morte.

C’è poi da considerare che il Rapporto pubblicato da Amnesty International non tiene conto delle condanne eseguite in Cina, dove il governo di Pechino si preoccupa accuratamente di mantenerne il segreto. Qui, secondo la stessa Organizzazione che si batte per la tutela e la promozione dei diritti umani, le persone giustiziate sarebbero migliaia.

Dei 57 Stati in cui essa è in vigore 23 ve ne hanno fatto ricorso, nel 2009 erano 19, mentre tutti gli altri o hanno deciso di non procedere alle esecuzioni o hanno accolto le richieste di moratoria dell’Onu. In testa alla triste classifica, a parte la Cina, ci sono l’Iran con 252 esecuzioni, la Corea del Nord con 60, lo Yemen con 53. Gli Stati Uniti d’America si collocano al quinto posto con 46, seguiti dall’Arabia Saudita con 27.

Nel terzo millennio, come nel medioevo, si può essere giustiziati anche per delitti non gravissimi come quelli di natura economica e quelli legati alla droga, alle relazioni sessuali e alla blasfemia. Le sentenze di morte che scaturiscono da questi tipi di reato violano palesemente il diritto internazionale che vieta per casi del genere il ricorso alla pena di morte. Hanno violato il diritto internazionale l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, l’Iran, il Pakistan e il Sudan, emettendo condanne nei confronti di minori.

Sei Paesi, inoltre, hanno ripreso ad eseguire le pene di morte dopo un periodo di stop e un settimo ha esteso il suo raggio di applicazione ad altre forme di reato.
Unica nota positiva l’annuncio di moratoria da parte della Mongolia.

Se in termini statistici, quindi, il trend delle esecuzioni è positivo e sebbene in questi ultimi anni molti Paesi hanno deciso di abolire la pena di morte, tuttavia rimane ancora molto da fare. È indubbio, infatti, che i risultati sono stati raggiunti quando la società civile e la diplomazia sono riuscite a sensibilizzazione l’opinione pubblica mondiale e i singoli governi a fare una scelta di civiltà.
È questa la strada da percorrere per affermare il significato autentico della giustizia.

 

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