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Il tragico destino di Madame Elisabetta di Francia

Madame Elisabetta moriva il 10 maggio 1794 all'età di trent’anni. Il 9 maggio veniva trasferita dalla Prigione del Tempio al carcere delle Conciergerie e il 10 maggio iniziava il processo.

 Altro dibattito giudiziario farsa e fuori da qualsiasi parvenza di legalità: la Corte di giustizia aveva provveduto a nominare come difensore l’avvocato Chauveau-Lagarde, lo stesso che aveva difeso Maria Antonietta, ma senza riconoscergli il diritto di incontrare la propria assistita, inoltre l’accusatore Fouquier-Tinville rassicurava l’avvocato che il processo non si sarebbe svolto tanto presto. Chauveau-Lagarde, sapendo come agiva l’autorità giudiziaria, l’indomani si recava in aula e trovava madame Elisabetta con altre 23 persone pronte per essere condannate.
 
Durissimo l’atto di accusa: “E’ alla famiglia Capeto che il popolo francese deve tutti i mali, sotto il peso dei quali ha gemuto per tanti secoli! E’ al momento in cui l’eccesso della pressione l’ha forzato a rompere le sue catene, che tutta questa famiglia si è accordata per rimpiombarlo nella schiavitù… Elisabetta ha partecipato a tutti i delitti, ha cooperato a tutte le trame, a tutti i complotti orditi dai suoi infami fratelli, dalla scellerata e impudica Antonietta e da tutta l’orda dei cospiratori; ella ha incoraggiato anzi gli assassini della sua patria”.
 
Tutto si svolgeva rapidamente: dopo che tutti gli imputati furono interrogati e ascoltato un solo testimone iniziavano le arringhe della difesa. Chauveau-Lagarde nel tentativo disperato della sua perorazione a favore di madame Elisabetta, davanti all’assenza di documenti e testimoni, di accuse prevenute, opponeva “le virtù” di madame Elisabetta. Il termine “virtù” era assai usato dai repubblicani in riferimento alle “virtù repubblicane".
 
Il presidente del Tribunale, Dumas, avrebbe richiamato aspramente Chauveau-Lagarde, alle sue orecchie sembrava che la difesa volesse opporre le “virtù” della monarchia a quelle repubblicane. Chauveau-Lagarde concludeva la sua arringa con parole che lasciavano trasparire la nobiltà d’animo di madame Elisabetta, infatti pronunciava: “Invece di una difesa io dovrei fare l’apologia dell’imputata; non mi resta più che una sola osservazione da fare: questa principessa, che è stata alla corte di Francia il modello più perfetto di tutte le virtù, non può essere nemica dei francesi”.
 
La giuria emetteva un verdetto già scritto: la condanna alla ghigliottina. Al patibolo madame Elisabetta verrà ghigliottinata per ultima. Nella mente degli accusatori si trattava di un’ulteriore aggravio della sua pena, invece, madame Elisabetta mostrava serenità, dando conforto, incoraggiando tutte le altre condannate.
 
Madame Elisabetta si era sempre dedicata agli affetti familiari, munita di una forte fede religiosa, amava il culto del Sacro Cuore di Gesù. Che il suo sentimento cristiano fosse ben ancorato su solide basi lo dimostrava la preghiera scritta dalla sua mano che recitava quotidianamente.
 
Con molta probabilità, anche quando fu portata al patibolo, tra le sue orazioni ripetute c’era questa preghiera:
 
“Che mi accadrà oggi, o mio Dio? Lo ignoro; so soltanto che nulla mi accadrà che Voi non abbiate previsto, stabilito, voluto e ordinato sin dall’eternità. Questo mi basta, o mio Dio, per essere tranquilla. Adoro i vostri disegni eterni e impenetrabili, ai quali mi sottometto con tutto il cuore per amor vostro. Voglio tutto, accetto tutto. Vi faccio un sacrificio di tutto ed unisco questo sacrificio a quello del vostro diletto Figlio e mio Salvatore. Vi domando in nome del suo Caro Cuore e dei suoi meriti infiniti la pazienza nelle mie pene e la perfetta sottomissione a Voi dovuta per tutto quello che vorrete e permetterete. Così sia".
 
Nelle memorie di madame Royale la descrizione, con grandi parole di affetto, della amata zia: “Dal 1790, quando fui in grado di apprezzarla, non vidi in lei che religione, amore di Dio, orrore del peccato, dolcezza, pietà, modestia e grande attaccamento alla famiglia, per la quale sacrificò la vita, non avendo mai voluto abbandonare il re e la regina. Insomma, fu una principessa degna del sangue da cui discendeva. Non posso lodarla a sufficienza per la bontà che ebbe con me e che finì solo con la sua vita. Si occupò di me e mi curò come una figlia e io l’ho onorata come una seconda madre, le ho consacrato ogni sentimento. Dicevano che ci rassomigliavamo molto nell’aspetto; sento di avere qualcosa del suo carattere: possa io avere tutte le sue virtù e andare a gioire un giorno, come mio padre e mia madre, in seno a Dio, dove non dubito che essi godano il premio di una morte tanto meritoria!".
 
Salvatore Falzone

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