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Rai, gravidanze indesiderate

Nell'epoca del calo delle nascite e dei continui riferimenti alla parità dei diritti spunta fuori un articolo che non manca di generare divisioni e malcontenti tra i consulenti esterni che vedrebbero interrompere il rapporto di lavoro in caso di inadempimento derivante da infortunio e malattia. O gravidanza...

E' il popolo dei senza diritti, quelli sui quali gli imprenditori possono spostare totalmente il rischio d'impresa. Sono quei dipendenti a costo zero, ufficialmente "lavoratori autonomi" ed ufficiosamente dipendenti senza alcuna tutela.

Zero ferie, zero malattia, zero tutela: un effetto deteriore del sistema, di quel mercato del lavoro che ancora necessita di una ristrutturazione strutturale e radicale, tanto da non poter essere affidata ad un governo di banchieri.

E il ricorso a questi "imprenditori di sé stessi" ,come amano definirsi per rendere meno amara la pillola del precariato, è appannaggio di tutte quelle imprese che decidono di speculare sulla pelle dei prestatori d'opera. Persino aziende che possono beneficiare di denaro pubblico, come quello che rimpingua le casse della Rai grazie all'odiosa estorsione del canone (adesso dovuto anche dai professionisti che possiedono uno smartphone od un computer!), non disdegnano la tipologia di rapporto in oggetto.

Anche in Viale Mazzini si opta per le scelte più convenienti all'azienda. Tra queste, sicuramente, il ricorso ai collaboratori esterni, le cui tutele sono praticamente inesistenti come si evince dall'articolo 10 del contratto, in base al quale l'azienda può scaricare la lavoratrice in caso di infortunio, malattia, causa di forza maggiore, gravidanza. 

L'evento più bello della vita femminile è paragonato ad una distorsione alla caviglia, ad un'appendicite da rimuovere: nulla da fare, il buongusto dei legali RAI è pari soltanto a quello dei responsabili dei palinsesti, prossimo allo zero. Il nascondersi dietro al pretesto del "lavoro autonomo" non salva la faccia dei dirigenti della TV di stato che, su mandato del DG Lorenza Lei provano a sminuire e limitare i danni, interessandosi della faccenda che rischia di guastare ulteriormente (se fosse possibile!) l'immagine della Rai, azienda che si regge sulle spalle di circa 1600 precari e di quei contribuenti che pagano il canone...

Da più parti si sollevano le proteste: Bonanni, la Camusso, la segreteria nazionale di Rifondazione Comunista e altri esponenti del mondo politico si scagliano contro l'assurda clausola che dimostra ancora una volta quanto poco sia importante lo sviluppo della persona umana nell'ambiente lavorativo. Nella nuova Europa delle banche e della pressione fiscale insostenibile la donna è sempre oggetto di discriminazione, vittima di una carenza culturale che sforna mostri dal volto disumano, come quelli evocati dall'articolo dieci del contratto di collaborazione a partita iva imposto in Rai. Un sordido ricatto, un modo per aggirare una prescrizione quello statuto dei lavoratori che non si può applicare ai nuovi schiavi del terzo millennio, perché quella partita iva li rende a tutti gli effetti "liberi professionisti" da 1100 euro mensili, senza ferie ovviamente.

Il buonsenso imporrebbe non tanto il rispetto di uno statuto in cui nemmeno i sindacati dimostrano di credere più, ma l'applicazione delle norme basilari della ragione, che dovrebbero considerare la maternità come il più profondo e nobile gesto d'amore e non alla stregua di una verruca.

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