• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Tempo Libero > Musica e Spettacoli > Quello che (non) ho. Il coraggio premiato

Quello che (non) ho. Il coraggio premiato

"Abbiamo dimostrato che la tv può non essere solo un discount", così Fabio Fazio in un'intervista rilasciata a L'Unità nel commentare "Quello che (non) ho", programma "estremo", come lui stesso lo definisce andato in onda lunedì 14, martedì 15 e mercoledì 16 maggio su La7.

Fazio è il fulcro su cui posa la trasmissione ma non ne è il conduttore. O almeno nell'accezione tradizionale del termine. "Quello che (non) ho" è un programma che si fa da sé, criticato e osannato, con un Roberto Saviano più in forma che mai, che continua a dar voce a quelle vicende che troppo spesso dimentichiamo, dalla strage di Beslan alla fabbrica di Eternit di Casale Monferrato, dai campi di prigioni cinesi detti Laogai ai suicidi per il lavoro.

L'accusa maggiore fatta a "Quello che (non) ho" è la lentezza. Se volevate vedere un varietà avete sbagliato canale. Il format è in realtà più teatrale che televisivo. Un monologo dietro l'altro. Ognuno di essi va assaporato e ponderato. Ognuno di essi è un pezzo di teatro.

Fazio, Saviano e gli autori tutti, non solo hanno preso in prestito il titolo di una canzone di De Andrè ma ne hanno trasposto il senso in ogni parte dello spettacolo: prima di tutto la scelta di mettere tra parentesi il "non" del titolo; la parentesi separa il mondo dell'avere e del non avere e quindi del poter essere o non poter essere una data persona. In secondo luogo la location, le Officine Grandi Riparazioni di Torino, un luogo dove un tempo venivano riparati i treni. La parola treno è presente nella canzone del cantautore ligure: "Quello che non ho è un treno arrugginito/che mi riporti indietro da dove sono partito". Inoltre la parola treno è stata la protagonista del monologo di Marco Paolini, a mio avviso uno dei più arguti autori/attori teatrali contemporanei, dedicato a quei ferrovieri che da alcuni mesi vivono su una torre Faro della Stazione Centrale di Milano per protestare contro il licenziamento di 800 lavoratori della ex Wagon Lits. Ad ogni illustre ospite è stato chiesto non un elenco di cose (anche se a ben vedere l'uso dell'elenco torna nel testo stesso della canzone) ma di parlare del significato di una parola che a loro stava particolarmente a cuore, per scoprire che anche dietro il termine apparentemente più insignificante può nascondersi un mondo inaspettato di azioni ed emozioni. E torniamo così al testo di De Andrè: "Quello che non ho sono le tue parole/per guadagnarmi il cielo per conquistarmi il sole". La parola è l'unica cosa che ci permette di conquistare il mondo. E ancora "il tempo", titolo del monologo di Ermanno Olmi, che era indeciso se non usare piuttosto la parola "orologio" che ritroviamo in De Andrè: "Quello che non ho è un orologio avanti /per correre più in fretta e avervi più distanti". 

Se dovessi scegliere un frammento musicale da incorniciare di questa maratona in tre serate è senza dubbio l'esecuzione della canzone che dà il titolo al programma fatta da Vinicio Capossela, che ha scelto un arrangiamento "grecizzante", vicino ai ritmi del sirtaki e che mi ha regalato la stessa emozione che ho provato nell'ascoltare, lo scorso anno, "Vieni via con me" durante l'omonima trasmisione della ditta Fazio/Saviano, cantata col sottofondo di xilofono da Luca Zingaretti.

Bello o brutto, apprezzato o meno, lento o no, come ha dichiarato una voce più autorevole della mia su Il Fatto Quotidiano, "Quello che (non) ho" è un bel programma ma ciò non lo rende necessariamente perfetto. Ma non sono d'accordo con chi dice che è autocelebrativo o autoassolutorio. E' un insieme di finestre sul mondo e ha il merito di aver fatto affacciare persone di spessore che nel resto dell'anno latitano dalla televisione. Fazio non è un buonista. E' una persona educata che fa una televisione garbata che non siamo più abituati a vedere. Non siamo più abituati al pudore e lo confondiamo con la debolezza, qualcuno lo ha perfino accusato di essere un pauroso. E invece ci vuole un bel coraggio a portare in tv una trasmissione così, ripeto, "estrema", tanto che da Rai 3 i nostri sono stati costretti ad emigrare su La7. E il coraggio viene premiato, signori. Dallo share.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares