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Quartet (massime di anziani)

Siamo tra anziani, dopo "Amour" e "E se vivessimo tutti insieme?", vediamo vecchie glorie della musica nella splendida mansion denominata Beecham House (House for retired musiciens), immersa nell'altrettanto splendida campagna inglese: un altro modo per trascorrerre la terza e quarta età, in versione da ricchi ancora innamorati dei loro passati successi, con due tra loro che devono riaprire la vecchia ferita di essere stati sposati per 9 ore nel passato, Reggie e Jean, quella che non aveva meno di 12 chiamate alla ribalta. Fanno pure scuola a giovani allievi più inclini al rap, fanno loro conoscere l'opera, una volta roba da persone ordinarie che vi si recavano portandosi il cibo da consumare in teatro, poi i ricchi se ne appropriarono svuotandola.

 

L'aria è soffusa dal ricordo dei passati successi e delle passate ambizioni, si accendono schermaglie tra prime donne di un tempo; gli applausi di allora devono essere ragione di grande nostalgia (qualcuno sente di esser mutato "da cantante d'opera a vecchio rinco"). Tutti però trovano nuove energie in questo "collegio" di glorie, la giovane e piacente direttrice ritiene che sia un contagioso amore per la vita. In effetti lo è, un modo lieve di affrontare la vecchiaia, facendo cose che si sanno fare. L'atmosfera è gradevole e misurata, come si conviene ad anziani agiati e tranquilli, ancora capaci di qualche scintilla. Un film dignitoso ma modesto, le emozioni non sono mai forti, né d'altra parte potrebbero esserlo a questa età. Sarà anche perciò che questa prima regia di Dustin Hoffmann risulta quasi inconsistente, un bel quadretto bucolico.
 
Gli anziani spesso impartiscono massime o frasi fatte perché vissute, interiorizzate, come l'opera che sarebbe come il canto di qualcuno che riceve una pugnalata mentre il rap è di chi parla dopo la stessa pugnalata, o che "le opere d'arte sono di una solitudine infinita e nessun critico può arrivare a sfiorarle" oppure - e lo sapevamo già - che "la vecchiaia non è roba da femminucce" (copyright di Bette Davis).

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