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Perché la pirateria non è un furto

La pirateria informatica viene sempre considerata al pari di un furto qualsiasi, ma ad una attenta analisi questa conclusione si rivela essere inesatta.

Ruberesti mai un auto? No! 

Ruberesti mai una borsa? No! 

Ruberesti mai un CD? No! 

Scaricheresti mai un libro? Eccome!

Prima di tutto occorre fare una distinzione: recentemente i fatti di Megaupload hanno riportato l'attenzione pubblica sulle tematiche del copyright, della pirateria e dello streaming, sollevando le critiche di chi non accetta che il web diventi mezzo di profitti illeciti.

Tuttavia, mentre questo problema si riscontra in servizi quali Megavideo, utilizzato effettivamente anche a scopo di lucro, da questa criticità sono esenti le reti p2p (“da pari a pari”) quali kad e torrent, che consentono solo la condivisioni gratuita di file multimediali e non creano profitti. In questa sede dunque, ci limiteremo a discutere della pirateria nella sua forma più “pulita”, ovvero come semplice pratica di sharing decentralizzata.

L' accusa rivolta solitamente a queste pratiche è quella di essere al pari del furto, così come vuole far credere il famoso e tanto deriso spot qui riportato, ma questa similitudine ad un'analisi più attenta si rivela essere inesatta. Il concetto usuale di furto infatti si basa sulla natura materiale dei beni, dove vale quello che potremmo definire il “principio di privazione”: se qualcuno si appropria di un bene fisico nel mondo materiale necessariamente questo comporta la perdita del bene ad un altro individuo. In una realtà invece intangibile, quale quella del Web, per la prima volta siamo di fronte ad un appropriazione di beni che non comporta la privazione di questo ad altri, appunto perché è possibile una duplicazione a costo zero.

Alla luce di quest'ottica dunque, scaricare un film da Internet non è l'equivalente di rubare un CD al supermercato, bensì è come prendere in prestito un libro in biblioteca! Come giustamente qualcuno ha fatto notare, il libro della biblioteca prima o poi va però riconsegnato, ma la ragione per cui dobbiamo restituirlo non è un principio assoluto che ci nega la possibilità di appropriarcene, ma semplicemente il fatto che se ce lo tenessimo un altro lettore non ne potrebbe usufruire. In altre parole, se vi fosse una biblioteca speciale, "magica", nella quale i libri venissero creati dal nulla all'infinito, non credete forse che questa biblioteca sarebbe svincolata dall' obbligo di restituzione? Ebbene questa biblioteca già esiste, e si chiama Internet. Il punto di fondo è che concetti quali “furto”, “prestito” o “concessione” sono stati sovvertiti dal mondo elettronico, perché sono concetti tutti basati sulla materialità dei beni e dunque acquistano un senso soltanto nel rispetto del “principio di privazione”. A questo discorso teorico poi se ne associano molti più pratici. Chi afferma che senza lo streaming gli acquisti regolari sarebbero stati molto più incentivati in realtà mente: tornando all'esempio di prima, se non ci fossero mai state le biblioteche, i libri che avete letto in questi anni li avreste tutti acquistati o forse non li avreste mai letti?

E' infatti riscontrato che il più delel volte l'acquisto di un libro o di un album musicale avviene dopo aver conosciuto e ben valutato l'autore grazie ad una rete di condivisione gratuita, lo stesso discorso si può fare per i videogiochi o il mercato dei concerti. Sempre più persone e istituzioni si stanno accorgendo di quanto sia importante la libera condivisione di informazioni per favorire la produzione tutta, e che la circolazione del sapere è necessaria per produrre idee sempre nuove. La questione tuttavia è complessa e apre la discussione su tanti altri temi, dalla censura al concetto di proprietà intellettuale, discussione che ultimamente pare essere entrata nelle orecchie di tanti e che certamente affronterò anche qui nei tempi a seguire. Nel frattempo issate le vele, levate le ancore e buona navigazione a tutt*!

Questo articolo è stato pubblicato qui

I commenti più votati

  • Di (---.---.---.109) 24 gennaio 2012 14:35

    Come al solito, nella classica usanza propriamente italiana, preferiamo perderci in giri di parole e in esempi (che se sono legittimi o meno poco importa) senza badare al nocciolo della questione: Il cantante che mette su un video non lo fa per beneficenza: intende venderlo a dei network televisivi. Se qualcuno lo registra e lo diffonde in rete, evidentemente arreca un danno a quel cantante. Punto. La situazione è questa. Se poi preferisci perderti in paragoni assurdi e disquisizioni inutili su concetti assolutamente marginali (biblioteche enoteche ecc) fai pure. Ma, ripeto, che scarichino tutti lo sappiamo. Perlomeno non diffondiamo la voce che sia una cosa lecita. Ecchec...

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.35) 23 gennaio 2012 17:25

    Sebbene mi trovi d’accordo nel riconoscere sia l’immaterialità del bene sia la necessità di ripensare il modo di considerare i beni immateriali, trovo l’articolo piuttosto confuso in quanto mischia ragionamenti su beni materiali a quelli sui beni immateriali, andando in definitiva contro le proprie stesse premesse. Non ultimo il fatto che la rete non è il target dei beni stessi ma solo un canale di transito: d’accordo nel non criminalizzarla in sè stessa ma, di fatto, tramite la rete viene commesso un crimine. Come non si colpevolizza la pistola che spara ma chi la tiene in mano, credo sia il caso di valutare il fatto che il bene in questione ha un "valore di mercato" (infatti in altri ambiti viene venduto) e che chi lo produce, affrontando anche costi e rischi, non ha dato il consenso alla sua libera distribuzione in rete. Ritengo quindi che parlare di libertà come forzatura sulla volontà altrui sia altamente improprio: anche qualora si produca materiale proprio e lo si devolva alla comunità non ci è data, nell’economia di mercato, la possibilità di decidere la destinazione d’uso di beni prodotti da altri. Da qui il crimine. Parimenti si potrebbe affermare che, poichè io non credo nella libertà altrui, allora ho il diritto di mettere tutti gli altri in cella... cosa che, fortunatamente non è: commetterei un crimine a mia volta.

  • Di (---.---.---.35) 23 gennaio 2012 17:33

    Ritengo che la libertà stia nel poter condividere, liberamente e con tutti gli strumenti adeguati (ftp, p2p, ecc.), contenuti prodotti in proprio, con fatica, capitali ed eventuale rischio proprio, ed esplicitamente destinati alla libera condivisione (v. a questo titolo i libri di Douglas Adams, messi dallo stesso liberamente in rete). Lo stesso può eventualmente valere per contenuti di terzi che abbiano dato consenso esplicito alla messa in condivisione. Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti: wikipedia credo sia solo il più eclatante. Condividere beni altrui senza previo consenso è invece un crimine. Più specificamente nell’articolo è posta la domanda: "Ruberesti mai un’auto? NO!", ma a questo contrappongo "prenderesti mai a prestito un’auto, senza il consenso del proprietario, anche se poi tu la rimettessi dove l’hai trovata? NO!".

  • Di Liberarchia (---.---.---.82) 23 gennaio 2012 17:36

    Premesso che non mi è sembrato di fare questa confusione tra beni materiali e immateriali, anzi, ho proprio posto la distinzione.
    Ma comunque la questione è anche un altra, ovvero chiedersi fino a quanto il "produttore" di un idea (che in realtà unico produttore non è) ha il diritto di negare la propria opera agli altri, soprattutto se non utilizzata a scopi di lucro.

    Oppure potrei girare la domanda: una volta utilizzate le idee di tutti per produrre un opera, perchè così avviene, e dopo aver chiuso a tutti quest opera con un brevetto copyright, non sono forse io che scavalco la libertà altrui utilizzando loro creazioni?

    • Di (---.---.---.35) 24 gennaio 2012 15:02

      Punto primo: quando si pirata un film in rete NON si sta piratando l’idea MA il prodotto finale, costato lavoro, sacrificio, investimenti e quant’altro E non reso liberamente disponibile dagli autori e dai produttori (peraltro fra autori ed editori intercorrono appositi accordi economici volti al corretto utilizzo).

      Se lei avesse scritto "il regista mi parla dell’idea che ha in testa, io la trovo interessante ed uso il MIO tempo ed i MIEI soldi per svilupparne un film" (che poi, dopo averci investito svariati milioni di euro, non lo metto in dubbio, lei di certo metterebbe gratuitamente a disposizione di tutti, in rete) sarei stato d’accordo con le sue parole, non fosse altro che, certamente, lei lo svilupperebbe in modo differente dal regista stesso: tante teste, tante idee.

      E’, in fondo, il vecchio problema dei brevetti USA/UE: negli USA brevettano l’algoritmo (l’idea) in UE si brevetta il prodotto (l’oggetto che ha un valore di mercato, considerando però che anche l’algoritmo ne ha, ma è un discorso leggermente diverso).

      Personalmente son contrario al brevetto delle idee ed ho "combattuto" per questo, firmando petizioni, inviando mail e parlando con la gente.

      Non sono invece contrario al brevetto del prodotto, magari per un tempo non infinito, che risulta da una linea di produzione in cui si investe tempo, denaro, fatica, lavoro per molte persone ed ovviamente ci si aspetta che l’investimento (e quindi il rischio) rendano qualcosa.

      Azzerando di fatto (almeno parte dei) proventi, non si fa altro che generare crisi: il regista arriverà a pensare "ma chi me lo fa fare?" ed il film, caro signore, se lo dovrà davvero produrre da solo.

      Diverso, infine, il discorso del "non a fine di lucro". La inviterei però a considerare il discorso della "libertà": lei pensa davvero di aver la libertà di disporre a suo piacimento del mio tempo? Tempo che, decisione mia, ho impiegato nello studio dell’idea (e, per cortesia, evitiamo le romantiche immagini a la Newton: mi cade in testa la mela = mi viene una luminosa idea: oggi le scoperte si fanno impiegando tempo, fatica, dedizione e, spesso, anche soldi).

      Io ho l’idea e, per stupida che possa essere, decido in totale e libera autonomia se metterne altri a parte, se proteggerla con un copyright, se usare le Creative Commons (cosa che, peraltro, faccio spesso) o altro. Non ritengo però altri titolati ad esercitare un abuso su di me, tutto qui. Se la mia idea può salvar vite sarà poi un problema mio con la mia etica, ma liberamente, senza forzature.

      Ricordo che nel momento in cui ci si arroga il diritto di decidere per altri si imbocca una brutta strada.

      Infine, nel momento in cui si usano "le idee di tutti" (ovviamente se tutti ne sono partecipi, perchè altrimenti stiamo parlando dell’aria), allora tutti hanno il diritto di utilizzare le IDEE di tutti, comprese le mie ovviamente, non i prodotti che sviluppo io.

      Sky

  • Di Geri Steve (---.---.---.182) 23 gennaio 2012 20:47

    Anch’io concordo nella sostanza ma critico la confusione dell’articolo.

    Faccio un esempio che mi sembra indiscutibile: nell’ottocento Bell ha rubato l’invenzione del telefono a Meucci. Mi sembra indiscutibile che quell’invenzione fosse un bene immateriale e che quel furto ha arricchito Bell e derubato materialmente e umanamente Meucci.

    Quindi la linea di confine non sta nell’immaterialita’ del bene.

    Il brevetto dovrebbe essere un giusto riconoscimento all’inventore e al creatore, ma in molti casi brevetti e diritti d’autore costituiscono protezioni eccessive e troppo lunghe: vanno rimessi in discussione, come fanno in sudafrica dove si rifiutano di accettare il monopolio di produzione dei farmaci anti aids.

    Attualmente esistono brevetti su cose che secondo me non dovrebbero essere brevettabili, come ad esempio gli standard di comunicazione in rete.

    Nel diritto italiano esiste gia’ una differenza fra l’appropriazione e il furto, ma rispetto alla rete quella differenza e’ del tutto insufficiente: ad esempio, non credo che faccia differenza fra l’appropriazione per uso e l’appropriazione per lucro.

    Sono tutti principi da rimettere in discussione, ma con chiarezza e rispetto per la complessita’ e le particolarita’.

    • Di (---.---.---.35) 24 gennaio 2012 15:13

      Mi associo assolutamente a questa risposta. Certi elementi basilari non dovrebbero esser brevettabili a priori.

      Di fatto non è definita per legge, credo (almeno non nell’ordinamento italiano), ma quello del "fair use" è un principio che mi trova mediamente d’accordo: nel momento in cui copio un CD/DVD che ho acquistato, a fini di backup, rientro nel fair use. Nel momento in cui presto un mio CD ad un amico rientro nel fair use... sarà poi lui e non rientrarvi, se lo copia e lo diffonde.

      Infine mi pare corretta la differenza fra "scopo di lucro" e "non a scopo di lucro": il primo crimine, posto che entrambi lo sono, è certamente più grave del secondo.

      Sky

  • Di (---.---.---.157) 23 gennaio 2012 22:43

    Mi associo. L’articolo è confusionario, e soprattutto sembra far passare l’idea che la pirateria non è tanto illegale quanto ci vogliono far credere. Purtroppo non è così. Non siamo ancora entrati nell’ottica della proprietà intellettuale, completamente tralasciata dall’autore che proprio per questo si perde in una distinzione alquanto irrilevante (materialità-immaterialità, roba da Spirito Assoluto hegeliano). Comunque il cantante che produce una canzone ha tutto il diritto di essere pagato, con la pubblicità o con altri mezzi, da te che guardi il video di quella canzone. Non so come si possa far pagare gli utenti, attraverso quali canali ma, in teoria, andrebbe pagato. Perchè quella canzone è sua, la canta lui, e il video lo ha girato lui a sue spese ecc ecc. Adesso, qui tutti scaricano illegalmente, non faccio il moralista, tutt’altro. Ma pretendere pure di farlo passare come una cosa lecita è veramente troppo.

    • Di (---.---.---.35) 24 gennaio 2012 16:31

      Aggiungerei anche un discorso relativo al "valore percepito": se tu (generico) non ritenessi la canzone, il film o altro "qualcosa di valore" (per te) allora nemmeno lo "scaricheresti", come non l’avresti comprato se la rete non ci fosse.

      A questo punto però, riconosciuto che l’oggetto HA un valore, onestà vuole che l’indebita appropriazione di questo valore non sia riconosciuta come "libertà". Non ho qui intenzione di fare il verginello o il difensore degli oppressi ma, se si vuol fare informazione, ci sono cose che si ha l’obbligo morale di scrivere.

      Infine mi vien quasi da ridere pensando che, se compio un "furto elettronico" in una banca (ad esempio quel furbo programmatore che si è accreditato tutti i millesimi troncati dalle transazioni, per svariati milioni di dollari), siccome non sto portando via pacchi di carta o mucchi di danaro, allora non sono perseguibile perchè di fatto "rubo un numero"... attenzione al concetto di proprietà, quando i beni, o la loro rappresentazione, diventano immateriali.

      Sky

  • Di Liberarchia (---.---.---.82) 23 gennaio 2012 23:23

    Suggerimento per proseguire la discussione con continuità senza ripetere argomentazioni già fatte: concentratevi sull’ esempio della biblioteca.

    • Di (---.---.---.157) 24 gennaio 2012 01:06

      L’esempio della biblioteca è fuori luogo, per questo il tuo discorso non regge. E lo è per varie ragioni: 1. per una questione puramente quantitativa, non si può paragonare il prestito di un libro all’ultimo film uscito al cinema o all’ultimo singolo di un cantante, è evidente che i download del film/canzone saranno infinitamente superiori ai prestiti del libro (una precisazione che credevo inutile fare, ma invece...)2. I libri di solito sono collezionati dai lettori, che tendono normalmente ad avere una libreria in casa e che con i libri instaurano un rapporto quasi "affettivo", per questo il prestito dalla biblioteca non è così diffuso (inoltre, se voglio un libro ma già lo ha preso qualcun altro, devo aspettare che questi lo riconsegni, non come il download che è immediato). 3 per una questione meramente economica: se non ci fossero le biblioteche il mercato dei libri avrebbe sì un guadagno, ma di certo non rilevante, viceversa se non ci fosse la pirateria il mercato discografico o cinematografico aumenterebbe gli introiti enormemente. Quindi, per concludere, meglio ripetere argomentazioni già fatte che proporne di nuove, ma inutili.

  • Di (---.---.---.90) 23 gennaio 2012 23:39

    finquando cercheremo di applicare una legge dell’ottocento alla realtà del 2012 non faremo molti passi avanti.Se la fotocopiatrice e’ stata inventata,signori,non possiamo criminalizzare le fotocopie,perchè a prescindere da ciò esse continueranno a circolare.Si pone il problema certo di gratificare l’opera intellettuale o di intrattenimento,ma inutile dire ci troviamo di fronte a speculazioni di intermediari terzi che hanno tutto l’interesse a gonfiare l’introito del bene finale di consumo per ricavarne introiti che non sono meno ingiusti di quelli ricavati dal ciccione di megaupload.Purtroppo la verità e’ che si percorre una strada doppiamente fallimentare,primo perchè la tecnologia e’ sempre un passo avanti e il verbo "chiudere" mal si addice a questa,secondo perche’ questi atti di forza suscitano la reazione opposta;sono impopolari e automaticamente la popolazione simpatizza con i pirati e acquista meno prodotti originali.Tanti anni fa vennero abolite le case chiuse ma la prostituzione e’ più viva che mai...

  • Di Liberarchia (---.---.---.178) 24 gennaio 2012 09:58

    1) la questione quantitativa non vedo a cosa porta,ok c è questa differenza ma non è una differenza che trova un illeggimità della pirateria, sarebbe come imporre una legge che proibisce alle biblioteche di avere più di 50 copie dello stesso libro.

    2) [cit: ] Come giustamente qualcuno ha fatto notare, il libro della biblioteca prima o poi va però riconsegnato, ma la ragione per cui dobbiamo restituirlo non è un principio assoluto che ci nega la possibilità di appropriarcene, ma semplicemente il fatto che se ce lo tenessimo un altro lettore non ne potrebbe usufruire.

    3) http://punto-informatico.it/3355677...

    • Di (---.---.---.109) 24 gennaio 2012 14:35

      Come al solito, nella classica usanza propriamente italiana, preferiamo perderci in giri di parole e in esempi (che se sono legittimi o meno poco importa) senza badare al nocciolo della questione: Il cantante che mette su un video non lo fa per beneficenza: intende venderlo a dei network televisivi. Se qualcuno lo registra e lo diffonde in rete, evidentemente arreca un danno a quel cantante. Punto. La situazione è questa. Se poi preferisci perderti in paragoni assurdi e disquisizioni inutili su concetti assolutamente marginali (biblioteche enoteche ecc) fai pure. Ma, ripeto, che scarichino tutti lo sappiamo. Perlomeno non diffondiamo la voce che sia una cosa lecita. Ecchec...

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