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Pane e tulipani, di Silvio Soldini

Il film comincia con un gruppo di turisti a Paestum che, interessati e anche no, ascoltano davanti alle rovine di un tempio la guida che parla di quello italiano come il più grande popolo della terra, coi cromosomi dei greci e dei romani. Ebbene, “tu chiamala se vuoi …” commedia, ma questa è una commedia di Silvio Soldini, non uno qualsiasi (L’aria serena dell’Ovest, Le acrobate, Giorni e nuvole tra quelli visti) e nemmeno il film è uno qualsiasi, è quello che gli ha meritato la maggiore notorietà e apprezzamenti.

Un film che ogni donna dovrebbe vedere, anche se è del lontano anno 2000, per presa di coscienza, per darsi coraggio, per constatare che possono far da sole, senza quei mariti prepotenti e aggressivi (ma nelle coppie “usate” ci si scambiano spesso “piacevolezze”) che, senza la casalinga factotum, lascerebbero andare la casa a rotoli. Un’associazione di idee riguardo al darsi coraggio, o altro consiglio cinematografico: Pomodori verdi fritti alla fermata dell’autobus, ma è un’altra storia. La casalinga che si perde, “dimenticata” dal gruppo e dal marito che ripartono in corriera da una stazione di servizio per far ritorno a Pescara, mentre lei, maldestra, si è attardata in bagno, è Licia Maglietta, aria un po’ svagata e sognante, che di inventarsi un sogno ha proprio bi-sogno. Il marito, che invece ha l’aria sbruffona del “so tutto io” a proposito e a sproposito, o di colui che “porta i soldi a casa” ed ha un’immancabile amante, è Antonio Catania, indimenticato aviatore del film Mediterraneo.

Ottime le interpretazioni di entrambi, ma anche di Bruno Ganz, la nuova conoscenza che Licia fa a Venezia dove arriva in autostop, quasi per caso, perché non c’è mai stata e per il vagheggiamento di una vita diversa. Ganz è il compunto e ossequioso cameriere islandese in un ristorantino di quart’ordine, che si esprime in un ottimo italiano aulico e letterario. La conoscenza di lei gli farà metter via per due volte il cappio che si era preparato, afflitto da immensa solitudine. Ancora una volta la felicità ha battuto invano alla mia porta, dice quando perde temporaneamente la vicinanza di Licia e Un’unica cagione, che lei torni a illuminar la mia magione dirà all’amata per dichiararsi e farla trasferire definitivamente a Venezia.

L’ambientazione è ricca della “ricca” Venezia e il cast è ben dotato di attori nostrani: l’improvvisato detective Giuseppe Battiston, mandato dal Catania a cercar sua moglie, la massaggiatrice olistica Marina Massironi, la veneziana amica di Licia, e Felice Andreasi, saggio e anziano gestore di un negozio di fiori e tulipani, appunto, dove Licia troverà lavoro. Non si può non apprezzare la presenza-cammeo, quasi un omaggio alla nostalgia, di Don Backy mentre canta se tu pensi alle cose più belle, tu pensi alle stelle, se non dormi la notte aspettando che venga domani … E’ lui il “faro” del cantante mancato Bruno Ganz. Ma anche lui si rimetterà a cantare – l’amore è fautore della creatività - in una balera dove ballano tutti gli amici, Licia alla fisarmonica (che aveva dismesso a 12 anni) e il figlio minore di lei. Si è trasferito pure lui con la mamma: i figli seguono i genitori che sanno decidersi. Un film magnifico che, come spesso accade nei film, mette ogni persona al suo giusto posto, come i sogni comandano (ma per questo il film migliore resta il cubano Lista d’attesa, anch’esso del 2000 e “si consiglia”).

N.B. Come è passato in fretta il tempo dal 2000: nel film si vede Licia telefonare da un posto pubblico con la scheda telefonica, si vedono telefonini che sono già “nonni” di quelli attuali e con trentottomila lire si poteva, ma a malapena, trovare una modestissima stanza d’albergo a Venezia …

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