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PLUGIN: un corto di animazione per combattere l’omofobia

Sergio di Bitetto ha ventisei anni, è pugliese, di una piccola cittadina di mare della provincia barese.
Fin da piccolo ha la passione per il disegno, cresciuto tra Walt Disney, Warner Brothers e, più in là, con gli “anime” Giapponesi.

Da sempre il suo sogno è stato quello di disegnare per professione, ma ancor più di raccontare storie. Per farlo non è potuto rimanere qui in Italia: purtroppo nel nostro Paese non c’è una vera e consolidata formazione artistica in ambito dell’animazione, forse meno che mai per quella tradizionale. Così ha deciso di mollare tutto e partire per il Canada, dove si è iscritto alla Vancouver Film School, per studiare Classical Animation.

E’ l’autore di un cortometraggio che abbiamo molto apprezzato, PLUGIN. Il corto di animazione racconta di una società in cui l’omofobia è contrastata attraverso la coesione sociale e l’atteggiamento coercitivo delle autorità viene combattuto grazie al sostegno di tutte le persone, che aiutano il protagonista a raggiungere colui che ama. Abbiamo dunque deciso di intervistare Sergio in occasione della Giornata Internazionale contro l’Omofobia, la Bifobia e la Transfobia, per sapere di più della creazione e della diffusione del corto e per partecipare così al dibattito sul tema della condizione lgbtqi in Italia, dei diritti negati e dei pregiudizi.

UAGDC: Come nasce l’esigenza di realizzare Plugin?

Plugin nasce da un’esigenza comunicativa, una voglia di dire la propria al mondo, e lo confesso, anche da tanta rabbia. Ho avuto questo progetto nel cassetto per tre anni, forse quattro, ben prima di arrivare alla scuola. Volevo realizzare qualcosa di semplice e immediato, che la gente potesse far vedere anche ai bambini senza scatenare un “caso Giulio Cesare”, volevo mostrare chiaramente a tutti quegli accaniti od ottusi, che l’amore è uno e che di fronte ad esso siamo tutti uguali. Che l’odio contro chi di noi è “diverso” è un odio contro se stessi, ma che dall’altra parte, può bastare uno per ispirare la gente, ma occorre l’aiuto di tutti per cambiare il mondo.

Quando nel 2012 accadde il famoso episodio del “ragazzo con i pantaloni rosa” (che non ho intenzione di strumentalizzare in alcun modo), mi adirai parecchio. Quella circostanza ci mostrò come purtroppo nel duemila e qualsiasi, il colore di un paio di pantaloni, piuttosto che un atteggiamento o che altro, sono ancora motivo di scherno, derisione e forte bullismo scolastico. Oggi si dice non si sia trattato di omofobia, cosa che rende l’episodio persino peggiore a mio avviso! Questo vuol dire che non è nemmeno più solo un discorso di gender, ma di scelte comportamentali.

Quali sono gli obiettivi del corto?

Il corto non ha dei veri e propri obiettivi e non è mai stato concepito per averne. Non è candidato agli Oscar, o sarà presentato a Venezia, non è un’operazione di marketing, o un’attenta strategia comunicativa, non è il video promo del pride o della giornata internazionale contro l’omofobia; è e resterà sempre il film di laurea di un ragazzo italiano che voleva dire qualcosa in più di una gag comica con animali parlanti (per citare il più comune concetto di animazione). Questo non è un corto con cui far girare il mio nome o da promuovere per la tecnica o l’esecuzione, è certamente iscritto a dei festival, ma non ho intenzione di venderlo in questa maniera. A Plugin auguro solo la viralità, sarebbe il più grosso risultato. Che giri in rete, che si faccia vedere e venga consigliato. Che una mamma lo possa far vedere ad un figlio confuso sul tema e che lo si possa mostrare anche a scuola, questo io gli auguro. Dopotutto sarebbe il massimo della concretizzazione di quanto mostrato nel film, che un piccolo uomo ispiri la gente a curvare i meccanismi a cui siamo incollati.

Plugin racconta un mondo in cui le persone vengono messe su binari che le vogliono esclusivamente eterosessuali, binari che però possono trasformarsi in nuovi percorsi da attraversare. Qual è il binario prestabilito da cui è più difficile liberarsi, secondo te? Come fare per liberarsene?

Plugin è sì un messaggio di pace ed unione, ma lo confesso, è quasi anche uno sfottò, rappresenta per me la ridicolizzazione della classica argomentazione, forse l’unica sempre proposta da omofobi di ogni schiera contro i diritti dei gay: l’uomo è stato fatto per riprodursi con la donna, punto. E così questo è il mondo che ho presentato, uno in cui noi siamo corpi meccanici che funzionano unicamente per produrre qualcosa di logico, tutto ciò che non lo è va eliminato dal sistema. Con la differenza del fatto che, se ci si dimenticasse di “come si fanno i bambini” (che di certo non ho voluto mostrare nel mio video), la luce prodotta non è sesso, è amore, una materia che è uguale per tutti.

E’ molto dissimile la situazione lgbt in Canada rispetto all’Italia?

Moltissimo. Esiste un rispetto che fa parte del normale comportamento civile. L’omosessualità è riconosciuta e parte integrante della società, il matrimonio è legale e le discriminazioni e le offese, anche solo verbali, sono punite severissimamente. Non esiste davvero un termine di paragone. Il Canada è stato tra l’altro uno (se non l’unico) di quegli Stati che ha voluto rispondere con ironia alla Russia durante le olimpiadi, il che la dice lunga. Malgrado questo, nessun posto nel mondo purtroppo è un nido perfetto, e io percepisco molto gli influssi di Vancouver, la cosiddetta “NY del Canada”, ma le province appena fuori città, i borghi rurali e meno metropolitani, sono ancora parecchio omofobi nonostante tutto.

Com’è stata per ora l’accoglienza del video?

Calorosissima, una vera sorpresa. Ho notato grande entusiasmo da parte di tutti e debbo dire che, anche come regista mi ha fatto piacere che nella sua semplicità, tutti abbiano colto perfettamente quanto avessi voluto comunicare. Devo dire che parecchie associazioni Italiane e Internazionali hanno effettuato condivisioni su Facebook e Twitter e/o scritto articoli sui loro blog. Niente di tutto avrebbe potuto realizzarsi se non avessi il supporto di alcuni buoni amici e di uno splendido uomo, che crede in me e mi sostiene al punto tale da aver lavorato come un intero ufficio stampa soltanto per rendere il video visibile a tutti. Gli devo moltissimo.

Quali sono stati gli ostacoli maggiori – se li hai incontrati – alla realizzazione e alla diffusione del video?

A dire il vero di difficoltà ne ho incontrate e di diversa natura. Scolasticamente parlando, non che nessuno abbia ostacolato il progetto, ma quando ho presentato l’idea, ho avuto più di un docente che m’abbia posto il dubbio sulla realizzazione. La preoccupazione è stata relativa alle difficoltà di produzione: solo quindici scene per raccontare l’intera storia, una marea di personaggi e ambientazioni, un tempo limitato per realizzarlo, da solo (considerando che la media stimata dei film è di due minuti circa), e il dubbio alla fine di tutto, che nemmeno fosse il soggetto ideale a mostrare le capacità apprese durante il programma. Chiunque usi la parola animazione senza riferirsi ad un villaggio turistico, s’immagina La Bella e la Bestia che ballano a palazzo, il tappeto di Aladdin, o Beep beep che fugge al coyote, animazione è per definizione stessa, movimento, azione. E un buon animatore è colui che genericamente non ha problemi a rappresentare una sequenza di kung fu, piuttosto che un numero da musical. Plugin è la storia di personaggi senza gambe, incollati a delle piattaforme, non esattamente niente di conforme a quanto sopra detto, e lo capisco. Ma dovevo farlo, era da troppo tempo che volevo, e questo l’ho vissuto come un “dovere morale e civile” come storyteller gay.

In secondo luogo, ma questa è una difficoltà di tipo psicologico, tutto quanto sia accaduto in Russia durante le Olimpiadi mi ha veramente turbato. Ero in piena fase di realizzazione e vedere il materiale video di questi poveri ragazzi maltrattati e malmenati mi ha fatto stringere il cuore. C’è stato persino un giorno in cui ho avuto bisogno di un break, lavoravo alla scena della ribellione. Dopo aver visto uno dei video reportage di quanto accadesse non troppo lontano, in Europa, ho avuto bisogno di una boccata d’aria… quelle persone avrebbero potuto essere amici, parenti, il mio ragazzo, persino io stesso. Ho riflettuto a lungo e sono giunto alla conclusione che l’unica cosa che un ragazzo della mia età possa fare è “il meglio che si possa fare”. Per cui, in questo caso io lavoro col video e avrei dovuto fare uno splendido video, uno di quelli che vadano dappertutto e siano visti da tutti, questo, ritengo sia l’unico modo per dimostrare solidarietà e combattere questa lotta.

 

Ci auguriamo e auguriamo a Sergio che il suo lavoro diventi davvero virale e che possa, insieme all’azione di tutt* noi, fare la sua parte per la costruzione di una società più giusta e solidale.

Sergio di Bitetto ha ventisei anni, è pugliese, di una piccola cittadina di mare della provincia barese.
Fin da piccolo ha la passione per il disegno, cresciuto tra Walt Disney, Warner Brothers e, più in là, con gli “anime” Giapponesi.

Da sempre il suo sogno è stato quello di disegnare per professione, ma ancor più di raccontare storie. Per farlo non è potuto rimanere qui in Italia: purtroppo nel nostro Paese non c’è una vera e consolidata formazione artistica in ambito dell’animazione, forse meno che mai per quella tradizionale. Così ha deciso di mollare tutto e partire per il Canada, dove si è iscritto alla Vancouver Film School, per studiare Classical Animation.

E’ l’autore di un cortometraggio che abbiamo molto apprezzato, PLUGIN. Il corto di animazione racconta di una società in cui l’omofobia è contrastata attraverso la coesione sociale e l’atteggiamento coercitivo delle autorità viene combattuto grazie al sostegno di tutte le persone, che aiutano il protagonista a raggiungere colui che ama. Abbiamo dunque deciso di intervistare Sergio in occasione della Giornata Internazionale contro l’Omofobia, la Bifobia e la Transfobia, per sapere di più della creazione e della diffusione del corto e per partecipare così al dibattito sul tema della condizione lgbtqi in Italia, dei diritti negati e dei pregiudizi.

UAGDC: Come nasce l’esigenza di realizzare Plugin?

Plugin nasce da un’esigenza comunicativa, una voglia di dire la propria al mondo, e lo confesso, anche da tanta rabbia. Ho avuto questo progetto nel cassetto per tre anni, forse quattro, ben prima di arrivare alla scuola. Volevo realizzare qualcosa di semplice e immediato, che la gente potesse far vedere anche ai bambini senza scatenare un “caso Giulio Cesare”, volevo mostrare chiaramente a tutti quegli accaniti od ottusi, che l’amore è uno e che di fronte ad esso siamo tutti uguali. Che l’odio contro chi di noi è “diverso” è un odio contro se stessi, ma che dall’altra parte, può bastare uno per ispirare la gente, ma occorre l’aiuto di tutti per cambiare il mondo.

Quando nel 2012 accadde il famoso episodio del “ragazzo con i pantaloni rosa” (che non ho intenzione di strumentalizzare in alcun modo), mi adirai parecchio. Quella circostanza ci mostrò come purtroppo nel duemila e qualsiasi, il colore di un paio di pantaloni, piuttosto che un atteggiamento o che altro, sono ancora motivo di scherno, derisione e forte bullismo scolastico. Oggi si dice non si sia trattato di omofobia, cosa che rende l’episodio persino peggiore a mio avviso! Questo vuol dire che non è nemmeno più solo un discorso di gender, ma di scelte comportamentali.

Quali sono gli obiettivi del corto?

Il corto non ha dei veri e propri obiettivi e non è mai stato concepito per averne. Non è candidato agli Oscar, o sarà presentato a Venezia, non è un’operazione di marketing, o un’attenta strategia comunicativa, non è il video promo del pride o della giornata internazionale contro l’omofobia; è e resterà sempre il film di laurea di un ragazzo italiano che voleva dire qualcosa in più di una gag comica con animali parlanti (per citare il più comune concetto di animazione). Questo non è un corto con cui far girare il mio nome o da promuovere per la tecnica o l’esecuzione, è certamente iscritto a dei festival, ma non ho intenzione di venderlo in questa maniera. A Plugin auguro solo la viralità, sarebbe il più grosso risultato. Che giri in rete, che si faccia vedere e venga consigliato. Che una mamma lo possa far vedere ad un figlio confuso sul tema e che lo si possa mostrare anche a scuola, questo io gli auguro. Dopotutto sarebbe il massimo della concretizzazione di quanto mostrato nel film, che un piccolo uomo ispiri la gente a curvare i meccanismi a cui siamo incollati.

Plugin racconta un mondo in cui le persone vengono messe su binari che le vogliono esclusivamente eterosessuali, binari che però possono trasformarsi in nuovi percorsi da attraversare. Qual è il binario prestabilito da cui è più difficile liberarsi, secondo te? Come fare per liberarsene?

Plugin è sì un messaggio di pace ed unione, ma lo confesso, è quasi anche uno sfottò, rappresenta per me la ridicolizzazione della classica argomentazione, forse l’unica sempre proposta da omofobi di ogni schiera contro i diritti dei gay: l’uomo è stato fatto per riprodursi con la donna, punto. E così questo è il mondo che ho presentato, uno in cui noi siamo corpi meccanici che funzionano unicamente per produrre qualcosa di logico, tutto ciò che non lo è va eliminato dal sistema. Con la differenza del fatto che, se ci si dimenticasse di “come si fanno i bambini” (che di certo non ho voluto mostrare nel mio video), la luce prodotta non è sesso, è amore, una materia che è uguale per tutti.

E’ molto dissimile la situazione lgbt in Canada rispetto all’Italia?

Moltissimo. Esiste un rispetto che fa parte del normale comportamento civile. L’omosessualità è riconosciuta e parte integrante della società, il matrimonio è legale e le discriminazioni e le offese, anche solo verbali, sono punite severissimamente. Non esiste davvero un termine di paragone. Il Canada è stato tra l’altro uno (se non l’unico) di quegli Stati che ha voluto rispondere con ironia alla Russia durante le olimpiadi, il che la dice lunga. Malgrado questo, nessun posto nel mondo purtroppo è un nido perfetto, e io percepisco molto gli influssi di Vancouver, la cosiddetta “NY del Canada”, ma le province appena fuori città, i borghi rurali e meno metropolitani, sono ancora parecchio omofobi nonostante tutto.

Com’è stata per ora l’accoglienza del video?

Calorosissima, una vera sorpresa. Ho notato grande entusiasmo da parte di tutti e debbo dire che, anche come regista mi ha fatto piacere che nella sua semplicità, tutti abbiano colto perfettamente quanto avessi voluto comunicare. Devo dire che parecchie associazioni Italiane e Internazionali hanno effettuato condivisioni su Facebook e Twitter e/o scritto articoli sui loro blog. Niente di tutto avrebbe potuto realizzarsi se non avessi il supporto di alcuni buoni amici e di uno splendido uomo, che crede in me e mi sostiene al punto tale da aver lavorato come un intero ufficio stampa soltanto per rendere il video visibile a tutti. Gli devo moltissimo.

Quali sono stati gli ostacoli maggiori – se li hai incontrati – alla realizzazione e alla diffusione del video?

A dire il vero di difficoltà ne ho incontrate e di diversa natura. Scolasticamente parlando, non che nessuno abbia ostacolato il progetto, ma quando ho presentato l’idea, ho avuto più di un docente che m’abbia posto il dubbio sulla realizzazione. La preoccupazione è stata relativa alle difficoltà di produzione: solo quindici scene per raccontare l’intera storia, una marea di personaggi e ambientazioni, un tempo limitato per realizzarlo, da solo (considerando che la media stimata dei film è di due minuti circa), e il dubbio alla fine di tutto, che nemmeno fosse il soggetto ideale a mostrare le capacità apprese durante il programma. Chiunque usi la parola animazione senza riferirsi ad un villaggio turistico, s’immagina La Bella e la Bestia che ballano a palazzo, il tappeto di Aladdin, o Beep beep che fugge al coyote, animazione è per definizione stessa, movimento, azione. E un buon animatore è colui che genericamente non ha problemi a rappresentare una sequenza di kung fu, piuttosto che un numero da musical. Plugin è la storia di personaggi senza gambe, incollati a delle piattaforme, non esattamente niente di conforme a quanto sopra detto, e lo capisco. Ma dovevo farlo, era da troppo tempo che volevo, e questo l’ho vissuto come un “dovere morale e civile” come storyteller gay.

In secondo luogo, ma questa è una difficoltà di tipo psicologico, tutto quanto sia accaduto in Russia durante le Olimpiadi mi ha veramente turbato. Ero in piena fase di realizzazione e vedere il materiale video di questi poveri ragazzi maltrattati e malmenati mi ha fatto stringere il cuore. C’è stato persino un giorno in cui ho avuto bisogno di un break, lavoravo alla scena della ribellione. Dopo aver visto uno dei video reportage di quanto accadesse non troppo lontano, in Europa, ho avuto bisogno di una boccata d’aria… quelle persone avrebbero potuto essere amici, parenti, il mio ragazzo, persino io stesso. Ho riflettuto a lungo e sono giunto alla conclusione che l’unica cosa che un ragazzo della mia età possa fare è “il meglio che si possa fare”. Per cui, in questo caso io lavoro col video e avrei dovuto fare uno splendido video, uno di quelli che vadano dappertutto e siano visti da tutti, questo, ritengo sia l’unico modo per dimostrare solidarietà e combattere questa lotta.

 

Ci auguriamo e auguriamo a Sergio che il suo lavoro diventi davvero virale e che possa, insieme all’azione di tutt* noi, fare la sua parte per la costruzione di una società più giusta e solidale.

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