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Nepal: gli ultimi maoisti s’estinguono fra stato e mercato

Continua, faticosamente, ma con qualche successo lo smantellamento di quella che fu il People Liberation Army (PLA) la guerriglia maoista che combattè con il governo per 11 anni. Ritirati dopo la pace del 2006 in campi di raccolta adesso ne stanno uscendo per tornare nella società. Giustamente, prendendo esempio dai leader massimi, pensano al loro futuro nell’apparato di partito, nell’esercito regolare e nel business.

Giustamente attratti dall’opportunità di un posto fisso (esercito nazionale), da un posto nel partito o da un finanziamento per iniziare un business, i guerriglieri maoisti (veri o falsi), abbandonano divise, rivoluzioni, libretti rossi e falci e martello (lasciandole ai contadini veri le cui condizioni sono sempre uguali) e rientrano nel mondo reale.

Lo stesso sta facendo Sanu Magar scappato dalla scuola e dal villaggio per inseguire un’opportunità e un ideale. Lo ritroviamo nel cantonment (campo) di Sindhuli, speriamo ancora per poco.

Tutto è iniziato nel 2000 quando il ragazzo aveva più o meno 15 anni. Oggi ne ha 26, è sposato con una compagna di lotta e ha una piccola bambina di tre anni. Vive fra il campo e il suo villaggio, non distante fra le colline, dove, malgrado il divieto è andato e tornato dal 2006 per aiutare la famiglia nei lavori agricoli (mais, qualche bufalo). Uno dei suoi insegnanti era un capetto locale maoista, oggi funzionario di partito, che lo convinse con fiumi di parole e retorica a unirsi al movimento, allora in pieno sviluppo.

Da studente divenne militante, con un gruppo, un ruolo e prestigio di riporto. Iniziò a distribuire materiale fra i contadini, chiedere donazioni lasciando l’inutile ricevuta, poi salì a Rolpa (l’area roccaforte maoista) per iniziare un training militare.

Insegnanti e studenti dei villaggi furono la componente più numerosa dell’Esercito Popolare di Liberazione. Frustrati e incazzati per i bassi salari, la scarsa considerazione sociale, la mancanza di prospettive (se non la migrazione). I villaggi sono, da sempre e anche adesso, dimenticati dal potere concentrato a Kathmandu e dai furbi capaci d’installarsi nel sistema politico-affaristico che spartisce potere e denaro proveniente dal commercio e dagli aiuti internazionali. Nei villaggi non arriva niente, solo qualche burocrate pomposo. Oggi arrivano solo le rimesse dei migranti che compongono il 20% del PIL e la fonte di sopravvivenza per molte famiglie.

Negli anni in cui Sanu entrò nel PLA, altre migliaia di ragazzini lo seguirono; e nel 2001 iniziò l’escalation del conflitto (e delle vittime contate in 11.000) con il primo attacco dei maoisti all’esercito regolare e successive rappresaglie. Sanu Magar (Sanu significa piccolo ed il soprannome dato al figlio minore in tutto il Nepal) ha fatto tutto il percorso: ha sparato a qualche poliziotto, minacciato un bel po’ di contadini per avere donazioni e cibo, fatto discorsi infuocati. Oggi nella bella divisa comprata con i soldi dei donatori occidentali è ancora convinto di aver salvato il paese, di aver mandato via un re-tiranno e vorrebbe continuare il suo contributo entrando nella Nepal Army.

Questa scelta l’hanno fatta il 40% dei 17.000 ex guerriglieri verificati dal Army Integration Special Committee (AISC), l’ente governativo nepalese che ha abilmente compiuto in meno di un mese un lavoro ciò che l’UNMIN non è stata in grado di fare in 5 anni con soldi e personale dieci volte superiori.

La moglie si prenderà le 600.000 rupie (euro 600, un po’ più del reddito pro-capite annuo) del voluntary retirement con l’idea di iniziare un business integrativo alla sua paga di soldato. Altri come il suo amico Kapil e la moglie hanno scelto di lasciare tutto con il voluntary retirement e contano di diventare ricchi ben investendo le 1.200.00 rupie di loro spettanza. Addio all’idea di servire il popolo. I loro leader, si racconta a Kathmandu, hanno già da tempo iniziato questo percorso con successo spedendo i figli a studiare all’estero, piazzandosi in posti ben remunerati, costruendo belle case.

L’ottimo lavoro del Army Integration Special Committee (AISC) ha tolto un po’ di reddito al partito maoista che s’intascava 27, 5 milioni di rupie al mese (euro 275.000), grazie ai conti sbagliati dell’UNMIN che fornivano cibo e stipendio a 19.600 combattenti, contro i reali 17.000, (cioè rupie 6500 di salario e 2730 di contributo per il cibo per ogni guerrigliero). Tanto pagavano i contribuenti dei paesi occidentali. Uno scambio, più o meno tacito, con gli altri partiti che mantenevano le loro zampe nei soldoni provenienti dalle organizzazioni internazionali e dalla corruzione statale. Il gran pasticcione dell’UNMIN Ian Martin, come in tutti i carrozzoni che si rispettano, è stato premiato e nominato Rappresentante Speciale del Segretario Generale delle NU.

Sono proprio curioso di seguire qualche storia di quelli che hanno scelto l’integrazione nell’esercito, come Sanu, per vedere come saranno accolti dagli altezzosi militari o, come dice Kapil, saranno considerati come dei perdenti a cui affidare i lavori più umili. Intanto sono un po’ oltre la quota di 6.500 stabilita dagli accordi fra i partiti e si sta discutendo se e come elevarla. In cambio gli altri partiti chiedono ai maoisti di ridare le terre sequestrate durante il conflitto, i morbidi del partito hanno provato ma il duro Baidya le ha rioccupate con un manipolo di fedelissimi, riallargando la frattura all’interno del partito di governo. Sono anche curioso di seguire la storia di Kapil e del suo ritorno nella turbolenta economia di mercato, lasciate le vesti di sovvertitore per quelle d’investitore.

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