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Nelle prigioni del Nepal

Tre ministri finiti in gattabuia, altri 10.000 detenuti sparsi in 73 carceri. Da quelle affollate del Terai a qulla di Lo Manthang in Mustang con solo 3 prigionieri. Oltre il 65% aspetta un processo, qualcuno è stato dimenticato.

Dilli Bazar, uno delle prigioni storiche di Kathmandu, è diventata l’abitazione di ben tre ex ministri: Shyam Sundar Gupta (accusato di rapimento) e Ministro dell’Informazione, Chiranjivi Wagle (condannato a 5 anni per corruzione), Jaya Prakash Prasad Gupta (Congresso, 18 mesi per corruzione), Madhesi Janaadhikar Forum-Republic. JP Gupta vuole stare in cella con Wagle. I carcerati hanno accolto gli ex Ministri con una festa, sperando in un miglioramento delle condizioni carcerarie.

Dilli Bazar è uno dei primi carceri di Kathmandu, impiantato circa un secolo fa nelle stalle di un vecchio palazzo nobiliare, già allora, più che centenario. Le stalle sono le celle e il grande cortile, con un piccolo tempio buddhista, è la “piazza” dove vivono i carcerati. E’ considerato fra i migliori e qui sono stati, sempre sistemati, i carcerati occidentali: droga, contrabbando d’oro e valute, mercato nero. Dovrebbe avere 150 ospiti ne sono alloggiati 395, con 10 bagni, due stanze per la televisione.


Quando facemmo un progetto nella sezione femminile della Central Jail (il più grande e vecchio carcere di Kathmandu) non mi sembrava che la vita dei detenuti fosse pessima. I grandi cortili antichi, comuni in tutte le carceri del Nepal, erano come le piazze dei villaggi, le celle (perennemente aperte) affollate e affumicate mi ricordavano i bhatti (tea house) delle montagne o gli hotel locali nei vicoli della città. Questo progetto per le carcerate (produzione di divise per i bambini degli asili sostenuti nei villaggi) crollò, come molti altri, a causa della pessima gestione della ONLUS CCS Italia. Di questi giorni la notizia che anche altri progetti di sostegno al reddito nella sezione maschile cessati in questi giorni per la cattiva gestione degli organizzatori. Far lavorare i detenuti e consentirgli di avere un reddito integrativo è raro nelle prigioni nepalesi ma fondamentale per assicurare un minimo di reddito per i carcerati e le loro famiglie e un attività che dia un minimo di senso alla loro vita.

I reclusi percepiscono Nrs. 45 al giorno (euro 4,5) e 700 grammi di riso, Nrs 400 per una tenuta estiva e Nrs. 475 per una invernale una volta all’anno. Il resto deve essere integrato o da qualche lavoro o dai parenti che però a volte sono poveri, vivono in villaggi lontani o cercano di stare lontani dalle Khara Gar (carceri) considerate luoghi di contagio della sfortuna... La Central Jail (Mahottari) è divisa in Bhadra Jail, Women Jail e Central Jail (in tutto 9 blocchi) con una capacità teorica di 850 detenuti ma in realtà ne sono rinchiusi 1300. La sezione femminile, in cui operavamo, ospitava 173 donne e qualche bambino ed era nel complesso decente, anche come servizi igienici e acqua potabile, rispetto al resto del fatiscente complesso. La prigione, la prima del Nepal, fu installata in un vecchio palazzone centenario nel 1914. Come dappertutto il 65% dei reclusi è in attesa di giudizio, alcuni sono stati proprio dimenticati fra le crepe del sistema giudiziario inefficiente che L’Assemblea Costituente non riesce a ricreare.

Il sistema penitenziario della capitale si completa con la nuova Nakhu Jail, un po’ fuori dalla città, qui furono rinchiusi i maoisti durante i 10 anni di guerra civile. Allo loro uscita una grande festa li accolse. In tutto il Nepal sono recluse circa 10.000 persone di cui 737 donne e 488 stranieri, in massima parte indiani, qualche nigeriano e pakistano; divisi in 73 carceri sparsi nei vari Distretti. Da quelli affollati del Terai, pieni di contrabbandieri, appartenenti a bande mafiosi nepalo-indiano a quello di Lo Manthang (in Mustang) con solo 3 reclusi e qualche ubriacone. Oltre 200 minori sono sottoposti a qualche pena ma sono operativi solo 2 istituti dedicati. Entrambi sono a Kathmandu, uno a Sanotimi che ospita 83 ragazzi (5 ragazze) dai 12 ai 20 anni, gestito dall’ONG locale UCEP-Nepal. Il resto dei minori è chiuso nelle carceri normali. A Dhulikel, forse il peggiore fra le carceri intorno a Kathmandu, sono rinchiusi 110 detenuti fra cui 37 sottoposti a trattamenti psichiatrici. Sovraffollamento, mancanza di servizi igienici e d’acqua, abbandono giudiziario, assenza di diritti e potere illimitato delle guardie sono le costanti rimostranze dei detenuti quando lavoravamo nelle carceri. Si sta facendo poco sia a livello governativo (non riescono a intervenire su niente) sia delle organizzazioni internazionali.

L’OCRHA (diritti umani delle Nazioni Unite) non si è mai mossa da Kathmandu e l’uniche visite le ha fatte nei carceri della città, limitandosi a stilare il solito report fotografico. Ogni tanto scoppia qualche rivolta, specie nelle prigioni più affollate del Terai o dimenticate nelle province remote. Come a Kanchapur dove 13 detenuti stanno facendo lo sciopero della fame: a Jumkha (Sunsari, 530 detenuti) senza acqua potabile e scarsi servizi igenici e qualche caso di colera, a Damauli (53 detenuti senza coperte per l’inverno; a Gulmi dove i secondini chiedevano una parte dei soldi dati per il cibo. Non se la passano bene neanche i Chaukidar (i guardiani) nelle prigioni più isolate perché condividono gli stessi disagi dei prigionieri.

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